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Evangelista
Torricelli
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DOCUMENTS
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Biografia
a cura di Egidio Festa (1)
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1. Infanzia
e adolescenza
2.
Presso
Galileo ad
Arcetri
3.
L'attività
scientifica
3.1 Cubatura
dell'iperboloide di rivoluzione
3.2
Quadratura
dello spazio cicloidale
3.3Difesa
delle leggi
galileiane del moto
3.4
L'esperimento
barometrico
4. Il copernicanesimo
di
Torricelli
5. Diffusione
dell'opera di
Torricelli in Francia
6. Morte di
Torricelli
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1. Infanzia
e adolescenza |
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Le notizie sull'infanzia e
l'adolescenza di Torricelli sono rare ed imprecise. Sappiamo con
certezza che egli nacque a Roma il 15 ottobre del 1608. Disponiamo
inoltre di indicazioni sulla sua formazione scientifica, grazie al
contenuto di una lettera a Galileo
dell'11 settembre 1632. In essa Torricelli
spiega che dopo
aver
studiato da solo per due anni sotto la disciplina delli padri
gesuiti, fu a diciott'anni scolaro dell'abate Benedetto
Castelli.
Nel febbraio di quello stesso anno 1632 era stato pubblicato a Firenze
il Dialogo sopra i due Massimi Sistemi del Mondo.
Castelli -
che fu, com'è noto, fra i più fedeli discepoli ed
amici
di Galileo - scrutava con affettuosa premura le reazioni degli ambienti
romani al contenuto del libro. Costretto ad assentarsi per alcuni
giorni, pregò Torricelli di fungergli da segretario. Il
giovane scolaro
ebbe così l'occasione di scrivere a Galileo, in risposta ad
una
sua missiva, e di informarlo dell'azione svolta dall'abate per evitare
una precipitosa resoluzione , e cioè
la condanna del
libro e del suo autore. La speranza che si potesse evitare il peggio,
non aveva ancora definitivamente abbandonato gli amici romani di
Galileo.Torricelli,
come egli stesso spiega in questa lettera, fu a Roma fra i primi
lettori del Dialogo.
Ne studiò il
contenuto con quel gusto [...] che abbia avuto uno che,
già
havendo assai bene praticata tutta la geometria [...] et che havendo
studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del
Longomontano , finalmente adheriva, sforzato dalle molte congruenze, al
Copernico, et era di professione e di setta galileista.E'
questa la sola
occasione in cui Torricelli si dichiara apertamente seguace della
dottrina copernicana. Egli fu senza dubbio profondamente scosso dalla
sorte riservata al Dialogo e dalla condanna di Galileo emessa nel
giugno del 1633 dal tribunale del Sant'Uffizio. Tanto più
che
Castelli - costretto ad allontanarsi da Roma nel momento stesso in cui
si apriva il processo - gli aveva affidato l'incarico di seguire lo
sviluppo degli avvenimenti e di tenerlo al corrente. |
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2.
Presso Galileo ad Arcetri |
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Poco sappiamo
dell'attività svolta dal giovane Torricelli nel corso degli
anni
compresi fra il 1632 ed il 1641. E' accertato ch'egli seguì
Mgr.
Giovanni Ciampoli nelle Marche, ove l'illustre prelato fu inviato come
governatore dopo la condanna di Galileo. Ciampoli pagava con
l'allontanamento da Roma l'amicizia e l'ammirazione che lo legavano da
sempre all'autore del Dialogo.
Durante questo lungo periodo, Torricelli fu un attento studioso della
teoria del moto, come è attestato da una lettera di
Castelli a Galileo del 2 Marzo 1641. L'abate era
stato
autorizzato
a recarsi presso Galileo, prigioniero nella sua villa d'Arcetri. Nel
comunicare la buona nuova al Maestro, egli promette di portargli
un libro, e forsi ancora il secondo libro, fatto da un mio discepolo
[...] che ha dimostrato molte proposizioni di quelle De Motu
dimostrate già da V.S., ma diversamente superedificando
maravigliosamente intorno alla stessa materia[...]. Il discepolo
è proprio Evangelista Torricelli tornato a Roma all'inizio
del
1641. Il libro fu favorevolmente giudicato da
Galileo, e
Castelli, profondamente colpito dalla cecità e dagli
acciacchi
che affliggevano l'illustre ospite, temendo che le sue più
recenti "speculationi" potessero andar perdute, gli propose di inviare
a Firenze Torricelli per facilitarne la redazione. [Si veda il racconto
di Vincenzio Viviani, trasmesso da Ludovico Serenai, in Torricelli, Opere,
a cura di G. Loria e G. Vassura, Faenza, 1919, vol. I (1), p. VI] |
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La
proposta di Castelli fu
immediatamente accettata da Galileo, e due settimane dopo, il 27 aprile
1641, Torricelli scriveva al prigioniero di
Arcetri per
ringraziarlo dell'invito e rammaricarsi di non poter partire prima del
rientro a Roma dell'abate. L'assenza di Castelli si
protrarrà
fino all'autunno, ed è permesso chiedersi se essa fu la sola
causa della mancata partenza di Torricelli. Si può osservare
che
nel contesto politico e culturale dell'epoca, occorreva una buona dose
di coraggio per andare a raccogliere le idee di colui che i
potentissimi inquisitori del Sant'Uffizio volevano far tacere per
sempre. Ed in effetti Torricelli, pur continuando a scrivere a Galileo,
non dà nessuna indicazione precisa sulla data del suo
arrivo, ed
anzi sembra esitare sulla decisione stessa di trasferirsi a Firenze.
Galileo se ne duole in una
lettera
del
27 settembre 1641. Dopo aver ringraziato
Torricelli per
avergli
inviato un suo lavoro sulle spirali, così prosegue:
(…) attribuirgli
le meritate lodi non mi pareva che uno o due fogli ne fosser capaci,
però mi riserbava a pagar tale ufizio e debito con V.S. in
voce,
stando sulle speranze d'aver pure a goderla per qualche giorno avanti
che la mia vita, ormai vicina al fine, si terminasse. Dello adempirsi
tal mio desiderio me ne dette V.S. in una sua amorevolissima non lieve
speranza, ma ora non sento nell'ultima sua cenno di confermazione anzi,
per quel che intendo nell'altra sua scritta al Padre Reverendissimo
Castelli ed a me mandata aperta, ritraggo pochissimo o niente di vivo
rimanere in tal mia speranza. Non voglio né debbo cercare di
ritardare sì buoni incontri ed avvenimenti che meritatamente
dovrebbono costì succedere al valor suo, tanto sopra le
comuni
scienze elevato; ma bene gli dirò con sincero affetto, che
forse
anco qua sarebbe riconosciuto il merito del suo ingegno peregrino, ed
il mio basso tugurio non gli riuscirebbe per avventura ospizio men
comodo di qualcuno de i molti sontuosi, perché son sicuro
che
l'affetto dell'ospite non lo ritroverebbe in altro luogo più
fervente che nel mio petto; e so bene che alla vera virtù
piace
questo sopra ogni altro comodo. |
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Le
parole di Galileo
hanno un effetto quasi immediato: ai primi di ottobre Torricelli parte
per Firenze. Qui redige, sotto la guida del venerando Maestro, la Quinta
giornata da aggiungersi alle quattro dei Discorsi
e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze,
già
pubblicati a Leida, presso gli Elzeviri, nel 1638.
La
morte di Galileo il 6 gennaio 1642, interrompe bruscamente
l'attività di Torricelli, che decide di ritornare subito a
Roma.
E sta già per partire, quando Ferdinando II dei Medici gli
propone di restare a Firenze col titolo di "matematico del Granduca di
Toscana" e " Lettore di matematica" all'università di Pisa.
Questa nomina, immediatamente accettata, segna l'inizio per Torricelli
di un periodo di intensa attività, nel corso del quale
maturano
le soluzioni di numerosi problemi di matematica e di fisica.
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3. L'attività
scientifica
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Nei
lavori di
Torricelli possono essere individuate quattro diverse direzioni di
ricerca, che coprono la quasi totalità degli argomenti
trattati
da Galileo, ad eccezione dell'astronomia. Nella prima - la Geometria -
Torricelli ottiene risultati notevoli, in particolare, la quadratura
della curva cicloidale e la cubatura dell'iperboloide di rivoluzione
(solido iperbolico acuto). Egli utilizzò per primo gli
indivisibili curvi, contribuendo così allo sviluppo del
metodo
degli indivisibili introdotto in geometria, com'è noto, da
Bonaventura Cavalieri. La stretta collaborazione scientifica fra i due
esimi matematici, che furono legati da profonda amicizia, è
documentata da un'ampia corrispondenza scientifica.
La seconda direzione di ricerca è costituita - se ci si
attiene
a questa schematica classificazione - dall'applicazione della geometria
allo studio del moto.
L'esperimento
barometrico, che conduce all'invenzione del
barometro a
mercurio, e lo sviluppo delle tecniche di lavorazione dei vetri per i
cannocchiali, costituiscono infine due direzioni di ricerca nelle quali
Torricelli fa prova di un'abilità paragonabile a quella di
un
provetto artigiano.
La geometria e le sue applicazioni sono le direzioni nelle quali il
genio di Torricelli si manifesta con assoluta sicurezza. L'interesse
per i ragionamenti astratti va di pari passo con il rifiuto,
più
volte manifestato, di lasciarsi imprigionare entro i limiti ristretti
di un particolare fenomeno fisico.
Io
fingo -
così egli scrive all'amico Michelangelo Ricci in una lettera
del febbraio 1646 - o
suppongo che qualche corpo o punto si muova all'ingiù e
all'insù con la nota proporzione et horizzontalmente con
moto
equabile. Quando questo sia io dico che seguirà tutto quello
che
ha detto il Galileo, et io ancora. Se poi le palle di piombo, di ferro,
di pietra non osservano quella supposta proporzione, suo danno, noi
diremo che non parliamo di esse.
Espresse da uno scienziato che impiegava una parte notevole del suo
tempo a costruire strumenti destinati allo studio di fenomeni naturali,
queste osservazioni potrebbero sembrare a prima vista alquanto
singolari. In realtà gli interessi di Torricelli non erano
rivolti soltanto verso i ragionamenti astratti. In lui coesistevano,
per così dire, due individui: il tecnico, che perfezionava i
metodi pratici di fabbricazione dei vetri per cannocchiali senza
preoccuparsi degli aspetti teorici del problema; il teorico del moto,
che non andava volentieri alla ricerca di prove sperimentali, forse
perché non credeva nella prova irrefutabile fornita
dall'osservazione diretta dei fenomeni.
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3.1 Cubatura dell'iperboloide di
rivoluzione |
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(Solido
iperbolico acuto)
Il metodo
geometrico degli indivisibili sviluppato da Torricelli presenta una
importante innovazione rispetto al metodo di Cavalieri. Il
nostro
metodo [...] - spiega Torricelli - procederà
con gli
indivisibili curvi senza seguir l'esempio di alcun predecessore [...] [Torricelli,
Opere, a cura di G. Loria e G.
Vassura,
Faenza 1919, I (1), p. 174; tr. it. a cura di L. Belloni, Torino, UTET,
1975, p. 423]
Questa innovazione
viene utilizzata da Torricelli per la dimostrazione
del teorema relativo al solido iperbolico acuto,
che gli
permette di stabilire l'equivalenza fra il solido infinitamente lungo
generato da una iperbole rotante intorno al proprio asse, ed un
cilindro di altezza finita. [ibidem, I (1), pp.
193-194; tr.
it. pp. 444-45].
La
dimostrazione
riposa su 5 lemmi: |
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fig. 1 |
Primo
lemma
Data una iperbole i cui asintoti
siano AB, AC, e fatta girare la figura
intorno all'asse AB, si ottiene il solido acuto iperbolico
infinitamente lungo verso B (fig. 1). Si
considera poi,
all'interno del solido così definito, un rettangolo passante
per
AB, ad esempio il rettangolo DEFG. Sia AH il semiasse dell'iperbole.
Il
quadrato costruito su AH ha la stessa area di qualunque
rettangolo DEFG, in virtù della definizione stessa
dell'iperbole
[ibidem, p. 191; tr. it. p. 442]. |
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fig. 2 |
Secondo
lemma
Si dimostra che tutti i cilindri
inscritti nel solido acuto
iperbolico intorno all'asse comune AB (fig. 2),
sono isoperimetrici,
(le loro superfici laterali sono uguali) [ibidem,
pp. 191-192;
tr. it. pp. 442-43].
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Terzo
lemma
Si dimostra che i volumi di tutti i
cilindri isoperimetrici sopra
descritti stanno fra di loro come i diametri delle loro basi [ibidem,
p. 192; tr. it., p. 443].
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fig. 3 |
Quarto lemma
Si dimostra che la
superficie laterale del cilindro GIHL (fig. 3),
è ¼ della superficie della sfera AEFC [ibidem,
pp. 192-193; tr.it., p. 443-44].
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Quinto
lemma
Si dimostra che la superficie
laterale di ogni cilindro GHIL inscritto
nel solido acuto come nella precedente figura, è equivalente
al
cerchio di raggio DF [ibidem, p. 193; tr. it., p.
444].
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fig. 4
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Teorema
Si dimostra che il solido
infinitamente lungo FEBDC costituito dal
solido acuto iperbolico EBD e dal suo cilindro di base FEDC,
è
equivalente al cilindro ACGH di altezza AC (fig. 4)
[ibidem,
pp. 193-194; tr. it., pp. 444-45]
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fig. 5
Immagine
tratta da L'Oeuvre de Torricelli: science
galiléenne et nouvelle géométrie, publications
de la faculté des lettres et sciences humaines de Nice,
diff.
Les Belles Lettres, Paris, 1987
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Alcune
osservazioni relative alla dimostrazione
Il segmento AC = PD = altezza
del cilindro ACGH,
risulta dal "taglio" dell'iperbole mediante un piano perpendicolare
all'asse AB (fig.4).
La
dimostrazione di Torricelli riposa sul "Quinto lemma": la superficie
laterale di ogni "cilindro inscritto", come ad esempio GIHL,
é
uguale al "cerchio di raggio DF" (fig. 3).
Questa
conclusione é decisiva per "costruire" il cilindro ACGH
(fig.5),
che Torricelli considera come l'aggregato di un
numero
infinito di cerchi.
Nella
figura
5, la superficie laterale del cilindro OILN
é uguale
al cerchio passante per il punto I. Questa
conclusione
é vera per qualunque cilindro inscritto, ad ognuno dei quali
corrisponderà un cerchio (di raggio costante DF)
passante per uno degli infiniti punti del segmento AC.
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3.2 Quadratura
dello spazio
cicloidale |
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La
storia della curva
cicloide non é facile da riassumere in poche
linee. La sua
invenzione risalirebbe all'inizio del XVII secolo, secondo quanto
afferma Carlo Dati nella Lettera a Filaleti di Timauro
Antiate. Della vera storia della cicloide, e
della famosissima
esperienza dell'argento vivo, pubblicata a Firenze nel 1662.
Galileo, sempre secondo Dati, avrebbe studiato questa curva, di cui
egli stesso per primo avrebbe avuto l'idea, intorno agli anni 1600.
Questa priorità è
confermata, come vedremo,
dallo stesso Galileo: la scoperta si situerebbe nell'ultimo decennio
del XVI secolo.
Dati cita uno scritto di Stefano Degli Angeli del 1661, De
superficie ungulae, nel quale l'autore attribuisce a Galileo
il
merito d'aver immaginato e studiato per primo questa curva particolare
e a Torricelli quello di aver calcolato per primo il valore esatto
della superficie compresa fra un arco completo di cicloide e la retta
fissa. Degli Angeli fonda la sua asserzione su una lettera (di cui egli
possiede copia) inviata da Bonaventura Cavalieri a a Galileo il 14
febbraio 1640. Mi sono stati mandati da parigi -
scrive
Cavalieri - due quesiti da quei matematici circa dei quali
temo di
farmi poco onore. Fra i quesiti, alcuni concerno appunto la
cicloide. Era stato Jean François Niceron a
sottometerglieli, in
occasione di un soggiorno in Italia. La risposta di Galileo, del 24
febbraio dello stesso anno, chiarisce alcuni punti: Dei
quesiti
mandatigli di Francia - spiega Galileo - non so
che sia stato
dimostrato alcuno. Gli ho con lei per difficili molto a essere sciolti.
Questa linea arcuata (i.e. la cicloide, N.d.R.
) sono
più di 50 anni che mi venne in mente di
descriverla [...] per
adattarla agli archi di un ponte [...]. Parvemi
da principio
che lo spazio potesse essere triplo del cerchio che lo descrive, ma non
fu così, benchè la differenza non sia molta [...]
Ebbi
circa un anno fa una scrittura di un padre Mersenno dei Minimi di San
Francesco di Paola mandatami da Parigi, ma scrittami in caratteri tali
che tutta l'Accademia di Firenze non ne potesse intender tanto che se
ne potesse trar costrutto alcuno [...] io
risposi all'amico
che me la mandò che facesse intendere al detto padre che mi
scrivesse in caratteri più intelligibili.
Dati
critica violentemente il contenuto di una
pubblicazione (dovuta a Blaise Pascal N.d.R.)
apparsa in
Francia nell'ottobre del 1658, l'Histoire de la Roulette,
appelée autrement la Trochoide ou la Cycloide, in
cui si
sostiene che il padre Marin Mersenne sia stato il primo ad immaginare,
verso il 1615, la curva cicloide en considérant
le
roulement des roues. Dopo aver chiesto la soluzione a
Galileo,
Mersenne si sarebbe rivolto a Gilles Personnier de Roberval nel 1634 e
questi avrebbe dimostrato che l'espace cycloidal est 3pr 2. Secondo l'autore
dell'Histoire, Roberval
avrebbe chiesto a Marsenne di scrivere a tutti i matematici per dir
loro che la soluzione era stata trovata (da Roberval), senza tuttavia
comunicarla. Più tardi, nel 1635, Mersenne avrebbe inviato
la
soluzione di Roberval a diversi matematici, chiedendo loro di
dimostrarla. Le due sole risposte ricevute, fra di loro diverse,
sarebbero state quelle di Pierre de Fermat e di René
Descartes.
Nel 1638, sempre secondo l'autore dell'Histoire,
Jean de
Beaugrand avrebbe inviato a Galileo quel che egli sapeva della
soluzione, facendo in modo da apparire egli stesso come l'autore delle
cose dette. Dopo la morte di Galileo, avvenuta nel gennaio del 1642,
Torricelli avrebbe ritrovato, nelle carte lasciate dal Maestro, la
soluzione inviata da Beaugrand nel 1638. Questa asserzione contrasta
con quanto indicato da Galileo nella lettera del 24 febbraio 1640
citata.
Da sottolineare, infine, che il 23 aprile 1643 Cavalieri scrive a
Torricelli e si congratula con lui per la soluzione trovata. Finalmente
ho sentito - scrive Cavalieri - nell'ultima sua
la misura
dello spazio cicloidale con molta mia maraviglia, essendo stato sempre
stimato problema di molta difficoltà, che straccò
già il Galileo; ed io pure, parendomi assai difficile lo
lasciai
andare; ond'ella avrà non poca lode di questo, oltre le
tante
sue maravigliose invenzioni, che le daranno eterna fama. Non
resterò poi di dirle intorno a questo, che il Galileo mi
scrisse
una volta d'averci applicato 40 anni fa, e che non aveva potuto trovar
niente; e che s'era persuaso che il detto spazio fosse triplo del
circolo suo genitore, ma che poi li pareva che non fosse precisamente,
se mal non ricordo, poiché per quanto abbi cercato nelle mie
scritture, non ho mai potuto tal lettera ritrovare.
Torricelli
fu, senza alcun dubbio, il primo ad aver pubblicato a Firenze nel 1644
la soluzione del problema (in Opera Geometrica,
«De
dimensione Parabolae, solidique Hyperbolici problemata
duo...»,
p. 85-90). Tre dimostrazioni si trovano in appendice al capitolo
indicato, attraverso le quali dimostreremo -
scrive
Torricelli - con l'aiuto di Dio che [lo spazio
cicloidale] é
triplo [del cerchio generatore]. La prima e la terza
dimostrazione
sono condotte con il metodo degli indivisibili, la seconda alla
maniera degli antichi, per doppia riduzione all'assurdo. [Torricelli,
Opere, a cura di G. Loria e G. Vassura, Faenza 1919, I (1), p. 174; tr.
it. a cura di L. Belloni, Torino, UTET, 1975, p. 423]
[in
Torricelli,Opere, a cura di G. Loria e G. Vassura,
Faenza
1919, I (1), pp. 163-169).
Torricelli
indica innanzi tutto i primi tentativi empirici per misurare gli "spazi
materiali" (spatijs figurarum materialibus)
delimitati dalla
curva cicloidale, e quindi il metodo per costruire la curva stessa.
Diamo
qui di seguito il testo italiano del preambolo torricelliano nella
traduzione di L. Belloni (cfr. Torricelli, Opere,
Torino,
UTET,1975, pp. 410-412).
APPENDICE
SULLA MISURA DELLA CICLOIDE
Mi
piace qui aggiungere, come appendice, la soluzione di un problema
interessante che, a prima vista, sembra difficilissimo se se ne
considera l'argomento e l'enunciazione. Esso tormentò e
sfuggì, molti anni or sono, ai primi matematici del nostro
secolo. Infatti, la dimostrazione invano cercata sfuggì
dalle
loro mani a causa della fallacia dell'esperienza. Appesi infatti ad una
libra, costruita a mano, gli spazi materiali delle figure, non
sò per quale destino, quella proporzione che in
realtà é tripla, risultò
sempre meno che
tripla. Avvenne allora che, sospettando trattarsi di grandezze
incommesurabili (come credo io) piuttosto che disperando della
soluzione, la ricerca intrapesa venne da quei matematici abbandonata.
Si
facciano le seguenti supposizioni. Si immagini su una retta fissa AB,
il circolo AC, tangente alla retta AB
nel punto A.
E si fissi il punto A, sulla periferia del
circolo. Allora si
immagini di far ruotare il circolo AC sulla
retta fissa AB,
con moto insieme circolare e progressivo verso B,
ed in modo
che, negli istanti sucessivi, tocchi sempre la linea retta AB
con un suo punto, finché il punto fissato di nuovo non torni
al
contatto con la linea, ad esempio in B.
È certo che il
punto A, fisso sulla periferia del circolo
rotante AC,
descriverà qualche linea, dapprima ascendente a partire
dalla
linea sottostante AB, poi culminante verso D,
e, in
ultimo, prona e discendente verso il punto B.
Tale
linea é stata chiamata cicloide dai
nostri
predecessori, sopratutto da Galileo già 45 anni orsono. La
retta AB é stata chiamata base
della
cicloide, ed il circolo AC, il generatore
della
cicloide.
Discende
dalla natura della cicloide la proprietà che la sua
base AB sia eguale alla periferia del circolo
generatore AC.
E questo poi non é così oscuro. Infatti tutta la
periferia AC, nella sua rotazione, si
é commisurata
con la retta fissa AB.
Si
chiede ora che proporzione ha lo spazio cicloidale ADB
al
suo circolo generatore AC. Dimostreremo (e ne
siano rese
grazie a Dio) che é triplo. Le dimostrazioni saranno tre, e
del
tutto diverse fra loro. La prima e la terza procederanno con la nuova
geometria degli indivisibili, che a noi piace molto. Metre la seconda
procederà con la duplice posizione, secondo il metodo degli
antichi, onde soddisfare i fautori di entrambi i metodi. Del resto, io
dico questo: quasi tutti i principi coi quali si dimostra qualcosa
nella geometria degli indivisibili, si possono ridurre alla solita
dimostrazione indiretta degli antichi. Ciò è
stato da noi
fatto, come in molti altri casi, anche nel primo e nel terzo dei
seguenti teoremi. Tuttavia per non abusare troppo della pazienza del
lettore, abbiamo ritenuto di tralasciare molte dimostrazioni e di darne
soltanto tre.
Ci
limitiamo a dare, sempre nella traduzione di Belloni ( cfr ibidem, pp.
412-413), la prima dimostrazione fatta col metodo degli indivisibili.
Teorema
I
Lo
spazio compreso fra la cicloide e la sua retta di base é
triplo
del circolo generatore. Ovvero é sesquialtero (Sesquialtero
= 1+1/2 N.d.R.) del triangolo, avente
la sua stessa base
ed altezza.
Sia
data la cicloide ABC, descritta dal punto C
del
circolo CDEF quando ruota sulla base fissa AF.
Consideriamo la semicicloide ed il semicircolo soltanto per evitare
troppa confusione nella figura. Dico che lo spazio ABCF
é triplo del semicircolo CDEF. Ovvero
sesquialtero del
triangolo ACF.
Si prendano due punti, H ed I,
sul diametro CF,
egualmente distanti dal centro G. Tracciate HB,
IL
e CM parallele a FA,
passino per i punti B
ed L i semicircoli OBP e MLN,
eguali a CDF,
tangenti alla base nei punti P ed N.
È
chiaro che le rette HD, IE,
XB e QL sono
eguali per la proposizione 14 del libro
III. Saranno eguali anche gli archi OB e LN.
Analogamente, essendo eguali CH e IF,
saranno
eguali CR e UA, per le
proprietà delle rette
parallele. Tutta la periferia MLN, per la definizione stessa della
cicloide, é eguale alla retta AF.
Analogamente, l'arco LN é uguale alla
retta AN per la
medesima ragione, poiché l'arco LN si
distenderà sulla retta AN. L'arco
restante LM
sarà dunque eguale alla retta restante NF.
Per la
medesima ragione, l'arco BP sarà
eguale alla retta AP,
e l'arco BO alla retta PF.
Ora la
retta AN é uguale all'arco LN,
ovvero
all'arco BO, ovvero nscritto ACF,
e triplo del
semicircolo CDEF. E questo ecc.
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3.3
Difesa
delle leggi
galileiane del moto |
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In
quanto erede di Galileo, Torricelli dovette affrontare le critiche
mosse all'opera del Maestro, in particolare da Cartesio e da Gilles
Personne de Roberval. La scienza del moto esposta nei Discorsi, non era
accettata da tutti. La proporzionalità degli spazi al
quadrato
dei tempi nel moto di caduta libera dei gravi, e la traiettoria
parabolica dei proiettili non convincevano i due scienziati francesi.
Esasperato dalle loro insistenze - e soprattutto dalle perentorie
affermazioni di Roberval secondo cui le conclusioni avanzate da Galileo
non resistevano ad una verifica sperimentale - Torricelli decise di
tagliar corto ad ogni discussione.
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Disegno
tratto dalla
Lettera
a G. B. Ranieri del Settembre
1647. |
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Frammento della lettera di
Torricelli a Michelangelo
Ricci del 17 gennaio 1645
relativa ai suoi lavori
sulla
spirale di Archimede,
pubblicata in Opere
di
Evangelista
Torricelli,
a cura di G. Loria e
G.Vassura,
Faenza 1919 p.257.
|
Egli fece notare allo
scienziato francese, in una
lettera del 7 Luglio 1646, che in
una sua opera Archimede aveva assimilato le traiettorie dei proiettili
a delle spirali. Quando l'errore fu evidente, bisognava forse
condannare il libro? non era preferibile leggere il tutto senza alcun
riferimento ai proiettili, aggiungendo semplicemente il vocabolo
"punto", il cui moto non segue una legge naturale, ma immaginaria? In
realtà, spiega Torricelli, le dimostrazioni geometriche non
hanno bisogno di aiuto: esse sono autosufficienti. E conclude
proponendo di buttar via dal libro di Archimede le parole "proiettili",
"corpi pesanti ", "balliste", ecc., che appartengono alla fisica, e di
lasciare invece le proposizioni astratte, che appartengono alla
geometria.
Il
tono provocatorio della lettera a Roberval non deve farci
dimenticare che in realtà Torricelli credeva nella
validità delle leggi del moto naturale stabilite da Galileo.
Il
contenuto delle lettere scambiate con Giovan Battista Renieri
costituisce, in questo senso, un'importante testimonianza.Il suo
rifugiarsi dietro l'aspetto astratto dei lavori sulla teoria del moto,
è verosimilmente un modo per evitare le polemiche. Io
poi
per fuggire le controversie - scrive Torricelli a
Renieri nel
Settembre 1647 - apposta
più volte iteratamente
e
chiaramente mi sono protestato nei miei libri del moto di scrivere
piuttosto ai filosofi che ai bombardieri. Ma questa
osservazione
non gli impedisce di dare un'interpretazione delle traiettorie dei
proiettili realmente osservate, e di fornire valori numerici
pazientemente calcolati.
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3.4
L'esperimento
barometrico |
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L'eserienza di Gasparo Berti.
Incisione da Technica
Curiosa
di P. Schott,
Herbipoli 1664.
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L'esperimento
dell'argento vivo, realizzato nella primavera del
1644,
renderà celebre il nome di Torricelli in Italia ed oltralpe.
Il
merito dello scienziato italiano fu innanzitutto di ammettere che la
causa effettiva della resistenza che la natura oppone al vuoto, era
dovuta probabilmente al peso dell'aria. Questa opinione,
com'è
noto, non era stata condivisa da Galileo. L'esperimento di Firenze ebbe
quindi come motivazione iniziale la ricerca di una relazione possibile
fra il peso dell'aria e la resistenza che si incontrava nel voler fare
il vuoto. Un esperimento simile era già stato effettuato a
Roma,
probabilmente quando Galileo era ancora in vita, da Gasparo Berti in
presenza dei padri gesuiti Niccolò Zucchi e Attanasio
Kircher,
ma i risultati furono divulgati solo nel 1647. Berti aveva utilizzato
l'acqua, e quindi il tubo aveva una lunghezza di dieci metri circa.
L'idea originale di Torricelli, il suo contributo tecnico
all'esperimento, consistette nell'impiego del mercurio al posto
dell'acqua, una innovazione questa, che permise di dividere per tredici
la lunghezza del tubo. Già prima di effettuare
l'esperimento,
Torricelli si chiedeva se, nello scendere per venire ad equilibrare la
colonna d'aria, la colonna di mercurio lasciava effettivamente dietro
di sé uno spazio vuoto. |
Disegno tratto dalla lettera di
Torricelli a M. Ricci del
11 Giugno 1644,
pubblicata in
Opere dei
Discepoli di
Galileo,
Firenze 1975.
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L'esperimento di Torricelli
suscitò
un'eco profonda, particolarmente in Francia ed in Polonia. Le
discussioni non furono sempre centrate sull'aspetto tecnico,
né
sulle conclusioni scientifiche che era lecito trarne, ma rilanciarono,
invece, la polemica fra "antichi" e "moderni". In effetti, la caduta
solamente parziale del mercurio, faceva apparire nel tubo una zona
apparentemente vuota, mettendo in crisi così uno dei
principi
fondatori della fisica aristotelica.
I gesuiti si batterono con convinzione per difendere la non esistenza
del vuoto. E' lecito chiedersi quale fu il contributo di Torricelli al
dibattito. La risposta è semplice: egli non vi
partecipò
affatto. In due lettere indirizzate l'11
ed il 28 giugno
1644 a
Michelangelo Ricci, il matematico del Granduca descrive l'esperimento,
ma non prende posizione nel dibattito filosofico sollevato
dall'apparizione del vuoto. Egli osserva
semplicemente, nella
lettera dell'11 giugno, che molti hanno detto, che il vacuo
non si
dia, altri che si dia, ma con repugnanza della Natura e con fatica.
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E
Torricelli considera che l'esperimento non
è del tutto riuscito, poiché l'altezza della
colonna di
mercurio che doveva equilibrare il peso dell'aria, variava per
il
caldo e freddo. Tuttavia si poteva giungere alla conclusione
che
il valore del peso dell'aria proposto dagli "antichi" era del tutto
errato. Altro risultato importantissimo: la forza che impediva al
mercurio di cadere, non era interna al vaso; Torricelli emetteva quindi
l'ipotesi, in questa stessa lettera, che essa fosse esterna e dovuta
alla gravità dell'aria.
Le due lettere a Ricci sono gli unici documenti redatti dallo stesso
Torricelli. Si può ipotizzare che questo silenzio sia dovuto
al
disappunto per l'intervento dei teologi nel dibattito. Una frase di
Ricci accredita questa ipotesi. Stimo che sarà
pur troppo
nauseato - scrive questi in una lettera a Torricelli del 18 giugno 1644
- dalla
temeraria opinione de' suddetta Teologi, e dal costume suo costante di
meschiar subito le cose di Dio ne' ragionamenti naturali, dove che
quelle dovrebbono con maggior rispetto, e riverenza esser trattate.
I motivi dell'intervento nel dibattito di eminenti
personalità
della Chiesa romana sono complessi ed ancor oggi non del tutto
elucidati. Si può tuttavia osservare che per i difensori
della
tradizione aristotelico-tomista, l'esistenza del vuoto, che andava di
pari passo con quella degli atomi, permetteva di far riferimento alla
filosofia di Leucippo, Democrito ed Epicuro | | |