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EVANGELISTA TORRICELLI a
MICHELANGELO RICCI [in Roma].
Firenze, 10
Febbraio 1646.
Molto Ill.e
e S.e mio
Pron.e Col.mo
La tanto
promessa e da me aspettata lettera di Robertvallio non
è ancora comparsa. Se verrà, prometto a V. S. di
comunicargliela e gli do parola di non curarmi punto di quanto ella sia
per contenere. Che i principii della dottrina de motu siano
veri o falsi a me importa pochissimo. Poichè, se non son
veri ,
fingasi che sian veri conforme habbiamo supposto, e poi prendansi tutte
le altre specolazioni derivate da essi principii, non come cose miste,
ma pure geometriche. Io fingo o suppongo che qualche corpo o punto si
muova all'ingiù et all'insù con la nota
proporzione et
horizzontalmente con moto equabile. Quando questo sia io dico che
seguirà tutto quello che ha detto il Galileo et io ancora.
Se
poi le palle di piombo, di ferro, di pietra non osservano qella
supposta proporzione, suo danno, noi diremo che non parliamo di esse.
Ma lasciamo ciò da parte. Quanto al veder le fasce in Giove
io
non l'ho mai vedute, perchè non si vedono sempre, e quando
io ho
avuto 1' occasione di guardarlo ( il che è stato da quattro
o
sei volte dopo che son tornato in Fiorenza ), non si vedevano. Del
resto D. Benedetto l'ha vedute in Roma in presenza mia già
sono
circa 14 anni con occhiale mediocre. Don Vincenzio Renieri l'ha vedute
già sono fino a 6 anni con occhial mediocre, et altri le
vedono
continuamente con occhiali che non sono perfetti Quanto al girarsi in
sè, io lo tengo per certo senza vederne altro contrassegno.
Ogni
corpo lassù, intorno al quale si girino altri corpi, V. S.
dica
pure che gira anch' esso, ma in tempo più breve che
qualunque
altro corpo che gli si muova intorno; però io credo che si
inganneranno coloro che pensano che Giove metta più giorni
in
fare una revoluzione sola. Il Ser.mo G. Duca mi
comandò che io facessi un occhiale di 20 braccia, lo feci,
cioè lavorai un vetro di un palmo di diametro che andava
lungo
24 passi andanti. S. A. lo faceva tenere in mano ad un uomo e poi si
allontanava finchè facesse il suo officio, e con quel vetro
solo
senza altro vetro all'occhio vedeva gli oggetti e chiari giusto come
averebbe fatto l'occhialone, ancorchè ciò si
facesse in
campagna nell' aria aperta e luminosa e che il vetro si tenesse da un
huomo a caso e non fermo bene. Questa sperienza l'ha replicata tante
volte che è stata veduta da chi non 1' ha voluta vedere.
Ultimamente comandò che si facesse il cannone, e si prese un
abete di 23 braccia fiorentine e fu incavato male e commesso peggio per
1a fretta. Poichè, guardando io dopo commesso, veddi che la
cavità, in cambio di esser conica circolare, faceva questa
apparenza. La mattina che S. A. era per partire alla volta di Pisa lo
fece tirar su per le finestre delle sue camere e vi mettemmo il vetro.
Fu guardato una villa con infnita scomodità; non havevamo
concavo proporzionato e trovammo che il vetro voleva sette braccia
più che l'abete di lunghezza. Così non si
potè
haver gusto. Mi lasciò ordine S. A. che io facessi un altro
vetro un po' minore e facessi accomodar meglio il cannone. Ho
già fatto il vetro, ma è riuscito pienissimo di
tortiglioni. Voglio nondimeno, che come torna, lo trovi in ordine.
Quella mattina nondimeno, se ben con infinita scomodità,
vedevamo certi coppi con le
macchie che vi erano
su di grandezza sterminata. Ho caro che V. S. abbia recuperato quel
danaro, quale si potrà rimandare al Mersenne quando rimandi
il
nostro vetro. Quel Signor Eustachio horologiaio è mio amico
e
persona di molto buon gusto, discorso e giudizio, e non dubito che sia
per far bene ma però che sia per arrivar al segno che ho
arrivato io non lo credo. Della felicità e del gusto che V.
S.
haverà nel leggere gli ampli volumi nuovi che sono per
uscire
alla luce, io la compatisco. Rendo grazie cordialissime al S. Antonio
della memoria che conserva della mia servitù. E le bacio con
ossequio le mani.
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