OPERE SCELTE
DELLA FORZA ATTRATTIVA DEL FUOCO ELETTRICO
E DEI FENOMENI CHE NE DIPENDONO.
DISSERTAZIONE EPISTOLARE
DI ALESSANDRO VOLTA PATRIZIO
NEO-COMENSE A GIOVAN BATTISTA BECCARIA
DELLE SCUOLE PIE PROFESSORE DI MATEMATICA NELLA REGIA UNIVERSITA’ DI TORINO*

Nuova-Como, MDCCLXIX 

Appena mi imbattei nella tua egregia opera, che intitolasti Dell'elettricismo artificiale e naturale, ed insieme per la prima volta appresi la teoria frankliniana da Te illustrata con ammirevole chiarezza, cominciai a credere che tanto i moti elettrici quanto molti altri fra i principali fenomeni dell'elettricità si potessero ricondurre ad una qualche forza attrattiva. Già dal 1763 comunicavo questa mia opinione all'illustre Nollet, ma fino a quel tempo non avevo posto in atto nessun esperimento. Ma egli dichiarava sembrargli difficilissimo il poter ottenere i fenomeni elettrici in modo che si accordino perfettamente con le note leggi dell'attrazione newtoniana, il che nessuno finora aveva tentatoa. In verità non trascurai di considerare attentamente il problema, ed anzi, quando in seguito fornito di opportuna attrezzatura strumentale, ripetei con scrupolo i fenomeni sino allora scoperti, mi convinsi che le loro leggi, così come postula la teoria frankliniana, decisamente si accordavano con l'esperimento. Mi tornavano in mente alcuni indizj di attrazione, oltre ai moti elettrici; altri invero sembravano non molto discordanti da quel principio: s'intende quelli che non si prestavano male alla spiegazione che se ne ricavava. E in verità indizi di attrazione, e neanche disprezzabili, mi offriva il vetro, la cui attitudine è tale che quanto fuoco si accumula su una faccia, altrettanto tende ad allontanarsi dalla faccia opposta.
Questo pensavo a quel tempo; ma comparve anche un nuovo genere di esperimenti, per il quale si apre un vasto campo: e si aggiunsero nuove scoperte, come certamente è l'Elettricità Vindice, della quale siamo particolarmente debitori a Te: dal momento che tutte queste cose concordano col mio principio d'attrazione, anzi ne derivano spontaneamente, e, come altrettanti corollarj, mi sembra che confermino chiaramente la faccenda. Certo scrivevo a Te queste cose, Uomo illustrissimo, circa due anni fa, dopo aver letto e riletto quella tua dissertazione rivolta a Franklin: dicevo appunto di ritenere che dal principio d'attrazione dovessero originarsi non soltanto i moti elettrici, ma anche molti altri fenomeni: è appunto l'attrazione che provoca nel vetro quella cosa per cui all'eccesso che viene indotto su una faccia di esso corrisponda un difetto sulla faccia opposta; inoltre si dimostra pure che la faccia del vetro denudata dopo la scarica rivendica a sè l'elettricità che aveva prima della scarica; il che è il principio dell'elettricità vindice. Era mia intenzione esaminare quanto prima l'intera questione, ma sia per essermi occupato di altri argomenti, sia per essermi abbandonato all'ozio più del dovuto, la cosa si è protratta sino a questo momento. Ma il tuo libretto sull'Atmosfera elettrica, edito recentemente e subito inviatomi, cosa per me quanto mai grata, ha fatto sì che non si frapponesse più nessun indugio: infatti quegli esperimenti, certo i più belli che ivi vengono citati, sono analoghi a quelli che io stesso consideravo per dimostrare che la medesima legge dell'attrazione ha luogo ugualmente nei corpi deferenti quanto nel vetro; e i principj che in questo stesso luogo stabilisci, si avvicinano abbastanza alla mia teoria dell'attrazione, per quanto Tu non abbia ancora fatto uso di questo vocabolo “attrazione ”.
Il mio proposito è quindi di mostrare che bisogna ammettere senz'altro una certa qual forza attrattiva del fuoco elettrico, sia perchè una tal forza si manifesta ovunque, sia perchè, ammessa quella, si spiegano senza alcuna difficoltà i principali fenomeni dell'elettricità: I. Risulta infatti chiaro il perchè i corpi diversamente elettrici tendano vicendevolmente l'uno verso l'altro. II. Tenuto conto della natura e dell'indole di quelle forze che vengono chiamate attrattive, e guidati da congetture dedotte specialmente per analogia, possiamo arguire quali siano le ragioni per cui il vetro, lo zolfo, la seta, ecc. ben ben strofinati, assorbano ora fuoco dall'esterno, ora perdano il proprio, a seconda che siano strofinati con questo o quel corpo. Da qui si accende anche un certo barlume per il successo di certi nuovi esperimenti. III. Si spiega la ragione per cui il fuoco, che si accumula su una faccia del vetro, tenda a espellerne altrettanto dalla faccia opposta; e, viceversa, il fuoco che venga sottratto ad una faccia, altrettanto ne attragga verso l'altra; il che è riscontrato aver luogo non soltanto nel vetro, ma in tutti i corpi isolanti. IV. E’ evidente che la stessa legge deve estendersi anche ai corpi deferenti (tenendo però conto che il fuoco elettrico attraversa facilmente questi, non altrettanto quelli); a ciò precisamente risalgono tutti gli esperimenti, e i teoremi sull'atmosfera elettrica che recentemente hai esposto nel tuo eccellente libretto. V. Infine si spiega quella che da Te, con vocabolo certamente appropriato, e che bene esprime il fenomeno, viene chiamata Elettricità Vindice. Se avrò dimostrato tutto questo, forse che i principali fenomeni dell'elettricità, e quelli estratti da posizioni più lontane, non risulteranno spiegati? Non sarà forse un grande acquisto per la Fisica, quando siano ricondotti ad un unico principio di attrazione i principj della teoria frankliniana, di per sè già pochi e semplici ma richiedenti un'ulteriore e più semplice causa con la quale si connettano a vicenda, vengano ricondotti, dico, i principj frankliniani assieme a quelli che a Te sembravano da aggiungere? Ma non è questa la sede per discutere ampiamente ogni singola cosa, come sembra richiedere l'argomento: avrò fatto abbastanza, se ne avrò dato soltanto un saggio, accontentandomi di avere indicato agli altri una strada più ampia.
Quando dico che l'attrazione del fluido elettrico si manifesta ovunque, tu capisci abbastanza, Uomo illustrissimo, ciò che voglio dire: precisamente che non segue quell'attrazione universale, che è proporzionale alla massa, e decresce in ragione del quadrato delle distanze, per la quale certamente i corpi sono attratti verso il centro, e i pianeti sono trattenuti nelle loro orbite. Oltre a questa forza generale, che produce perciò fenomeni generali, e dalle cui leggi è composto il Macrocosmo, si osservano altri tipi di attrazione in ognuno dei corpi, e nelle loro parti, i quali producono in questi proprietà specifiche, da cui anche fenomeni particolari traggono origine. E invero anche la sola rifrazione della luce dimostra l'esistenza di queste forze: dove, tralasciando il resto, si osserva che i raggi si piegano vicino alla superficie dei corpi, prima che la raggiungano. Ma si trovano anche numerosissimi altri esempi di queste forze: come nei corpi perfettamente levigati che aderiscono mutuamente con una forza di gran lunga superiore alla pressione atmosferica; e in due gocce d'acqua che, poste a minima distanza l'una dall'altra, prima stendono l'una verso l'altra una punta, con la quale si tocchino, e poi si riuniscono in una; e nella sospensione dei fluidi in tubi capillari; oppure, il che meglio finora si può osservare, nell'ascesa accelerata di una goccia d'olio tra due lamine di vetro; per non dire delle operazioni della Chimica, per la quale non c'è nessuna parte in cui, oltre all'inerzia della massa e alla gravità specifica, non si manifestino ovunque altri generi di forze reciproche, e balzano agli occhi anche contro voglia; e questo fatto invero risulta chiaramente anche dalla sola ultima questione dell'Ottica di Newton, dove sono esposti moltissimi indizj e prove di forze reciprocheb.
Queste forze però differiscono, come abbiamo accennato prima, dall'attrazione universale per il fatto che non sono proporzionali alla massa e non osservano la legge della diminuzione secondo il quadrato delle distanze; anzi per lo più a minima distanza dal contatto svaniscono: generalmente nei diversi corpi sussistono leggi quanto mai varie, cosicchè è difficilissimo comprenderle in alcuni di essi, in taluni addirittura impossibile. Tuttavia alcuni di coloro che seguirono la Filosofia Newtoniana, come Keil e dopo di lui Freind, stabilirono alcune leggi e teoremi non senza successo.
Ci sono taluni che hanno terrore di una tale molteplicità di attrazioni, di leggi tanto varie, e perciò ritengono che tutte queste forze, che chiamano non meccaniche, debbano essere bandite dalla Filosofia. Costoro riconoscono bensì che nell'investigazione delle cause esistano certi principj generali dei quali inutilmente si possa chiedere un'ulteriore giustificazione, onde, raggiuntili, occorre accettarli pienamente; ma vogliono che principj di questo genere siano in numero ristretto. O forse, dicono, saranno considerati come principj di natura tante specie di attrazione quanti sono i fenomeni da cui si ritenga dipendano, introducendo quasi una legge particolare per ciascun fenomeno? Invero questa difficoltà sparisce del tutto se si considera che queste forze così varie nei corpi e soggette a così diverse leggi non sono affatto principj primari, ma derivano dalla composizione degli elementi. Infatti, si può immaginare che soltanto due o tre generi di forze siano applicate alle particelle primordiali, cioè quelle che si possono chiamare le Primarie della Natura; o se preferiamo un solo genere di forza, agente secondo certe leggi, dipendenti dalla sola distanza. Inoltre è mirabile quanto varie forze possano esistere in piccole masse composite, anche del primo ordine, precisamente per la varia posizione delle particelle: che dire poi delle masse del secondo e del terzo ordine, e di tutti quelli inferiori, dal momento che il numero di combinazioni cresce all'infinito? O forse rimarrà il dubbio che tutte le forze, che agiscono davanti ai nostri occhi, possano derivare da un solo medesimo principio, sebbene le leggi, in base alle quali esse sembrano agire, differiscano prodigiosamente? Di sicuro Boscovichc, il quale attribuisce ai principj dei corpi, che per lui sono punti indivisibili, soltanto un'unica legge delle forze, che esprime mediante una certa curva asintotica, e di lì punta all'attrazione generale dei corpi grandi, mostrando come essa sia proporzionale alla massa e inversamente al quadrato della distanza, e con una facile applicazione deduce anche gli altri generi di attrazione nei corpi minori ed a minori distanze.
Ma comunque stiano le cose, per il momento mi basta stabilire se consti che forze attrattive esistano realmente nei corpi, e sostenermi sull'esempio di uomini illustrissimi, mentre tendo a raggiungere da lì una spiegazione di certi effetti naturali; precisamente di quelli che non provengono affatto dall'impulso, ossia da leggi note.
Parecchi, infatti, sono i corpi sia solidi sia fluidi nei quali la forza attrattiva si manifesta con indizi abbastanza manifesti: un esempio abbastanza eloquente in quest'ultima classe lo offre la luce, come abbiamo accennato poc'anzi, che tutti i fenomeni dimostrano essere dotata di una grande forza attrattiva. Perchè, dunque, anche il fuoco elettrico non potrebbe essere dotato di una propria forza? Pare che in alcuni corpi ci sia una maggiore abbondanza di questo fuoco, in altri minore: beninteso che questo sia un fluido molto elastico: la ragione sta nel fatto che attrae diversi corpi, e da essi è ambìto sino a raggiungere una certa saturazione. Ma in nessun modo questa forza reciproca può essere osservata più chiaramente, nè maggiormente balza agli occhi, che nei moti elettrici. Infatti o questi moti sono causati dalla pressione di qualche fluido, o non riconoscono nessuna altra causa tranne quella detta: appunto la forza attrattiva del fuoco elettrico. Inoltre, se fossero l'effetto di qualche fluido, questo fluido sarebbe lo stesso fuoco elettrico oppure l'aria, non essendoci nient'altro che possa essere chiamato in ajuto. Ma, che il fuoco elettrico sia insufficiente a suscitare col suo impulso questi moti, Tu, eccellentissimo Uomo, lo mostrasti con argomenti inconfutabili, ed io stesso tentai di confermarlo in un'altra lettera scritta l'anno scorso a Nollet, che feci conoscere anche a Te. Conclude invero la questione quello che è il fondamento della teoria frankliniana: che il fuoco elettrico si muove soltanto in una direzione. Chi infatti non vede che i diversi movimenti di leggiere foglioline, ora di avvicinamento, ora di allontanamento da un medesimo corpo elettrico, non possa minimamente essere provocato dal fluido da esso erompente?
Ma si dirà potersi in qualche modo immaginare che l'aria stessa faccia sì che corpi diversamente elettrici tendano l'uno verso l'altro (al quale unico principio mostrai, nella ricordata lettera, possano ricondursi tutti i moti elettrici, sia di avvicinamento reciproco, sia di allontanamento): infatti, il fuoco elettrico, il quale uscendo da un corpo penetra in un altro, disperde e dilata grandemente l'aria interposta, impermeabile per sua natura, onde avviene che l'aria circostante, mossa dalla forza elastica, mentre accorre a colmare il vuoto generatosi tra questi due corpi, li avvicina reciprocamente. Questa opinione, che esperimenti eseguiti nel vuoto sembrano confermare, ho visto sostenuta da Te nelle Lettere a Beccari: che cosa ne intendi ora, non posso capire bene, nè vedo quale altra causa del tutto meccanica per attrazioni, repulsioni, coesioni Tu possa proporre, come hai promesso nel primo “Saggio su certi nuovi esperimenti sulla questione elettrica” dell'anno 1766.
Frattanto mi sono almeno persuaso che la cosa non avviene affatto così nell'aria, e che non le si può attribuire che essa spinga due corpi diversamente elettrici e li stringa uno contro l'altro. E non mancano argomenti, in modo specialissimo quelli tratti dagli esperimenti, con cui dimostri il fatto. Tralasciando gli altri, merita d'essere riportato il fatto che, appunto, i moti elettrici hanno ugualmente luogo non soltanto nell'aria, ma in tutti i fluidi isolanti, come p. es., lo è l'olio. Inoltre, se l'avvicinamento di due corpi diversamente elettrici, quando si librano nell'aria, avesse luogo per la pressione dell'aria, nel modo in cui si ristabilisce, la stessa cosa si otterrebbe anche immergendo i corpi nell'olio, che è un mezzo similmente isolante: il fuoco elettrico, infatti, nel passare dall'uno all'altro di questi corpi immersi, disperderebbe il fluido interposto, lo dilaterebbe, creerebbe un vuoto: di conseguenza un'altra parte di fluido, prendendo il posto di quello, trarrebbe a sè i corpi e li costringerebbe ad avvicinarsi. Ma in realtà i corpi immersi nell'olio si attraggono, senza che osserviamo nulla di simile in questo fluido; il che, tuttavia, se avvenisse, sarebbe in qualche modo avvertito dai sensi. Dunque, è un'altra la causa di quei movimenti.
Ma per quanto riguarda gli esperimenti, che provano che i moti elettrici, nel vuoto, o chiaramente si perdono o talvolta si ottengono con difficoltà, vedremo subito a quale causa sia da riferire.
Ormai dunque non ci rimane altro che riconoscere la forza attrattiva del fluido elettrico, e attribuirle il dono d'indurre i corpi diversamente elettrizzati all'accostamento mutuo. Ma per qual ragione ciò avvenga, si manifesta facilmente se si consideri un corpo qualunque, oltre a questa porzione di fluido che gli compete naturalmente, come fra questo stesso corpo e gli altri, con cui comunica, si abbia una certa rispettiva saturazione, finchè non faccia valere una qualche forza assoluta per la quale nuovo fuoco brama, e ne è bramato. Fin qui nulla di nuovo: infatti, essendo questa forza residua eguale da ogni parte, non c'è ragione che il fuoco elettrico, o i corpi, siano costretti a mutare il proprio rispettivo stato, finchè permane l'equilibrio. Ora, riduciamo questo equilibrio, e consideriamo un corpo elettrizzato in eccesso, nel quale sia appunto accumulata una maggiore parte di fluido: che cosa ne seguirà? I corpi, posti tutt'attorno, non esclusa l'aria, attraggono a sè, secondo la forza di ciascuno, questo fuoco eccedente, e a loro volta ne sono attratti. Ma, per ottemperare a questa forza attrattiva, o i corpi circostanti si avvicineranno al corpo elettrizzato, o il fuoco stesso si trasferirà rapidamente da questo a quelli. Sembra a prima vista che il fuoco elettrico debba piuttosto obbedire alla forza attrattiva, e debba avvicinarsi di più ai corpi, più che i corpi ad esso, per quanto leggieri siano, in quanto il fuoco è incomparabilmente più leggiero e dotato di straordinaria mobilità. Ma ad una osservazione più attenta apparirà il contrario: bisogna infatti considerare che, per l'interposizione dell'aria, che è un mezzo coercente, si fa in modo che il fuoco non passi liberamente dal corpo carico in eccesso agli altri corpi posti ad una certa distanza; onde questi piuttosto, se sufficientemente leggieri, voleranno verso il corpo elettrizzato: e questo, a sua volta, se abbastanza liberamente pendente, obbedendo allo sforzo del fuoco sovrabbondante al quale è in certo qual modo legato, si dirige verso quelli.
Ciò che abbiamo osservato nei corpi elettrizzati per eccesso mostra a sufficienza che la stessa cosa deve avvenire per i corpi elettrizzati per difetto: anzi, in generale è evidente che due corpi i quali, in confronto alle loro forze, non abbiano una corrispondente quantità di fuoco, ossia, ciò che è lo stesso, dei quali l'uno abbia un eccesso di fuoco rispetto all'altro, debbano essere spinti ad avvicinarsi reciprocamente in ragione della maggiore o minore differenza che intercorre tra loro. E’, questa, l'unica legge alla quale si riportano in generale tutti i moti elettrici: infatti, anche nei corpi carichi della medesima elettricità, cos'altro, di grazia, dimostrano i reciproci allontanamenti, se non l'attrazione verso corpi posti al di fuori di essi, (considero anche l'aria) e rispettivamente di segno contrario?
Già da ciò si comprende perchè nella macchina pneumatica, coll'aria molto rarefatta, si ottengano moti elettrici nulli o quanto mai deboli. La ragione è che il fuoco in un corpo elettrizzato in eccesso, attraendo le particelle dei corpi non elettrizzati, ed a sua volta venendo attratto, deve esso stesso, in un mezzo non resistente, portarsi verso questi corpi, come uno dotato, in confronto a questi ultimi, della massima mobilità e liberamente fluente, più di quanto questi non si avvicinino ad esso. Tutto ciò si riconduce del tutto ad una sola frase: due corpi diversamente elettrizzati si attraggono reciprocamente non tanto perchè le particelle di un corpo attraggano assolutamente le particelle dell'altro, ma perchè questa attrazione esiste unicamente tra le particelle di un corpo elettrizzato per difetto e il fuoco di un corpo elettrizzato per eccesso; per cui avviene che questo stesso fluido, quando è poco ostacolato, cioè in uno spazio non resistente, si diffonda unicamente nella parte alla quale tende, oppure, quando qualche mezzo coercente è d'impedimento a questo flusso, che lo stesso fuoco trascini con sè il corpo a cui aderisce come ne fosse legato, mentre al tempo stesso, per la medesima forza, costringe similmente i corpi esterni ad avvicinarglisi: il che concorda prima di tutto con la ragione, e anche con gli esperimenti.
Dunque, poichè tutti i fenomeni dei moti elettrici, i quali altrimenti non possono conciliarsi in nessun modo, derivano spontaneamente dal principio d'attrazione proposto, non si dovrà forse abbracciare questo principio, e considerarlo come la loro vera causa? A meno che forse non sembri sconcertante, come sembrò, con mia meraviglia, anche ad un uomo abbastanza esperto, che questa forza attrattiva del fuoco elettrico si estenda a così grande distanza; infatti gli esempj che si adducono, di attrazione tra le particelle dei corpi, mostrano quelle forze che agiscono soltanto a distanze minime. Ma i moti elettrici si estendono lontano, dal momento che ogni volta osserviamo che la distanza di due o tre piedi minimamente impedisce al filo di puntare verso la catena.
Questa obiezione è certamente futile: è diffuso, infatti, quel il più e il meno non varia la qualità. E' forse lecito assegnare limiti oltre i quali la forza attrattiva delle particelle non può estendersi? Quali dunque saranno questi limiti? O forse, se la posizione delle particelle componenti il corpo è importante al punto che le forze in esso risultino più o meno attive, non può esserci nelle più piccole particelle componenti il fluido elettrico quella posizione che massimamente favorisca che la sua forza attrattiva giunga ad una distanza abbastanza considerevole? E poi non è neanche del tutto vero che ci vengano in mente soltanto esempj di attrazioni agenti a distanze minime. Un esempio molto succoso risulta dal Magnete che attira l'acciaio dalla distanza di parecchi piedi d. Infine svanisce ogni difficoltà se consideriamo che non è affatto necessario che la forza attrattiva del fuoco elettrico si estenda ad una distanza tanto grande quanto è l'intervallo tra due corpi che si attraggono a vicenda; infatti, il fuoco sovrabbondante si diffonde intorno al corpo elettrizzato in eccesso, e fornisce una certa atmosfera: per cui si può capire come un filo posto, p. es., a due piedi dalla catena non disterà altrettanto dal limite a cui si estende l'atmosfera della catena; anzi, avvertirà la forza attrattiva già allorquando arriva vicino a questo limite.
Dobbiamo ora vedere se dall'attrazione, che osservammo tra il fluido elettrico e le particelle di qualunque corpo, si possa ricavare la ragione per cui alcuni mediante lo strofinamento cedano il proprio fuoco, altri lo assorbano dall'esterno; e certamente tutti ora assorbono ora cedono fuoco a seconda della costituzione loro e dei corpi coi quali vengono strofinati: mi basta per ora se questo, e tutte le cose ad esso pertinenti, troveranno per questa via una spiegazione più felice che non per qualunque altra ipotesi fin qui escogitata.
E prima di tutto ora mi risulta infine chiaramente: quando un qualche corpo, come lo zolfo, perde del suo [fuoco], ciò non proviene per nulla dal fatto che gli sia insita naturalmente una maggiore quantità di fuoco elettrico; ed allo stesso modo, quando un altro corpo, supponi il vetro, assorbe del fuoco estraneo, ciò avverrebbe perchè in esso naturalmente difetta: questa sarebbe stata, un tempo, la mia opinione. Infatti tutti quegli esperimenti, che in seguito avviavo sulla seta, mi insegnavano che uno stesso nastro viene influenzato diversamente dai diversi corpi deferenti, nei quali tuttavia il fuoco elettrico è diffuso in modo uguale; e non solo questo, ma, il che più mi faceva meraviglia, che il medesimo nastro ora cede fuoco a un pezzo di legno o di metallo quando appunto venga strofinato sulla loro parte levigata, ora ne accoglie dallo stesso legno o metallo quando venga strofinato su una loro parte molto ruvida. Infine, gli esperimenti molto più numerosi e convincenti, che realizzavi su questo argomento, o Uomo solertissimo, per ampliare l'intera storia dell'elettricità, come comprovarono che nè il vetro prende sempre dai corpi deferenti, nè lo zolfo sempre dà, mentre altri corpi, come la seta, i peli di gatto, ecc., variano molto spesso, così mostrarono che tutte queste varietà dipendono da circostanze minime, e niente affatto dalla stessa natura intrinseca dei corpi.
Qualcuno potrebbe ritenere che la maggiore elasticità in uno, più che in un altro corpo, ed anche il calore più intenso indotto in esso dallo strofinamento, irriti il fuoco elettrico e lo espella verso quella parte in cui l'una o l'altra delle predette cause, o anche entrambe, siano meno vigorose. Invero, per quanto io conceda che, vuoi l'elasticità, vuoi il calore, talvolta contribuiscano non poco a che l'elettricità sussista più vivida dallo strofinamento, tuttavia non se ne deduce che quelle affezioni dei corpi siano la causa efficiente perchè il fuoco elettrico si accumuli da questo a quel corpo; può infatti avvenire che cause di natura del tutto diversa siano soltanto d'ajuto ad altro. Ma l'esperienza pone fine alla questione. Abbiamo infatti verificato che, quando diversi corpi vengono tra loro strofinati, nè quello dotato di maggiore elasticità, nè quello in cui per lo strofinamento si accumula un maggior grado di calore, e neppure quello in cui sono presenti ad un tempo queste due cose, cede sempre il suo fuoco; infatti talvolta i corpi in queste condizioni ricevono anche da uno meno elastico, e meno caldo.
Non vedo alcun altro modo di conciliare effetti tanto varj con le forze prementi dei corpi, ossia con forze meccaniche. Bisogna pertanto imboccare un'altra via: bisogna ricercare un'altra causa totalmente diversa da questa. Quelle cose, che in nessun modo possono ritenersi prodotte per impulso, che cosa vieta di riferirle al principio d'attrazione, essendo ormai evidente come forze di questo genere si manifestano dovunque, e così specialmente nel fluido elettrico, e che tutti questi fenomeni, di cui ora si tratta, corrispondono perfettamente alle caratteristiche di queste forze?
Pertanto, sono persuaso che quando un corpo qualunque, per esempio lo zolfo, in seguito allo strofinamento perde una parte del fuoco originario, questo corpo non esercita affatto un impulso sul fuoco, come se le particelle dello zolfo, eccitate da tale moto vibratorio, con i pori ristretti, spremessero fuori il fluido in essi contenuto; ben piuttosto perderanno una parte di questo fluido, per il fatto che nello zolfo cosi strofinato la forza attrattiva subisce una diminuzione. La stessa cosa chiaramente avviene nel vetro, che assorbe fuoco dall'esterno, cioè dalla mano: non concepisco infatti alcuna forza che espella il fuoco dalla mano, ma questo fuoco attrae a sè il vetro, a cui lo strofinamento fa in modo che la forza attrattiva in esso si accresca vigorosamente. Invero, nei corpi così strofinati, l'elettricità si manifesta allorquando, al cessare dello strofinamento, comincia a ricostituirsi la medesima attrazione che deteneva prima, cioè al medesimo grado d'intensità.
Ma, dunque, qual è la causa per cui lo strofinamento provoca la variazione delle forze attrattive? Bisogna ritornare a ciò che dissi sopra: nelle piccole masse composite le leggi delle forze dipendono dalla diversa posizione delle particelle primigenie, appunto in quanto queste forze delle particelle dipendono dalle loro distanze; e poichè anche nel sistema di Boscovich in un minimo e insensibile spazio si hanno molte transizioni da forze repulsive in attrattive, e di nuovo in repulsive, è evidente dal vario modo in cui queste particelle si dispongono reciprocamente, che le forze, ora collidendosi ora cospirando, debbono risultare quanto mai diverse nei corpi, sia rispetto all'intensità, sia rispetto alla distanza alla quale si estendono, sia rispetto alla misura del decremento, ecc.
Se dunque si tengono sott'occhio queste cose, ci sarà forse da stupirsi se, rimanendo immutata la disposizione delle particelle in un dato corpo, rimarranno immutate anche le forze, così che nè aumenti, nè diminuisca l'attrazione di questo corpo verso il fluido elettrico? Inoltre è evidente che lo strofinamento provoca una perturbazione nella disposizione delle particelle, ed essa appare essere quella che massimamente è atta a produrre un mutamento di forze; sono infatti piccolissime quelle parti che, quando vengono scosse, acquistano un nuovo stato, ossia una nuova posizione rispettiva.
Certamente, anche se è impossibile stabilire quale sia quel moto delle più piccole particelle con cui l'attrazione diminuisce, come nello zolfo, e quale quello con cui viene aumentata, come nel vetro, per il fatto che non possiamo scorgere il loro tessuto intimo, tuttavia per il nostro proposito saremo soddisfatti se risulterà chiaro in generale che questi diversi fenomeni possano essere dati dal diverso movimento. Risulta chiaro inoltre anche questo: il vetro, lo zolfo, le sete debbono subire effetti diversi a seconda che siano strofinati con corpi diversi; anzi anche con gli stessi corpi secondochè vengano strofinati su superficie ora ruvida ora levigata, ecc., infatti è necessario che moti diversi vengano eccitati da una variazione comunque piccola: ma chi non vede quante, e quanto grandi, differenze di forze può generare questo mutamento di disposizione nelle particelle, a distanza, s'intende, anche indiscernibile? Ormai dunque dobbiamo cessare di meravigliarci se lo zolfo, la ceralacca, ecc., che alla carta nuda, come quasi a tutti i corpi, cedono fuoco, ne ricevono invece dalla carta dorata: precisamente che da un così piccolo spessore di superficie dipenda la contrarietà dell'elettrizzazione.
Ma quanto dicevo: che i segni d'elettricità appaiono nei corpi strofinati, e che l'attrazione aumentata o diminuita per lo strofinamento, appena quest'ultimo cessa, il corpo comincia a ritornare allo stato primitivo, questo lo si capisce oltremodo facilmente. Quando, per esempio, strofino il vetro con la mano, muto la naturale disposizione delle particelle che lo costituiscono; ma la nuova posizione che viene indotta, favorisce di più la forza attrattiva del vetro, per cui esso estrae dalla mano una parte di fuoco elettrico. Ma appena le parti del vetro si allontanano dalla mano, per la diminuzione della pressione si sforzano di recuperare lo stato primitivo; per cui, perdendosi nuovamente quell'incremento che aveva ricevuto dalla forza attrattiva, il fuoco sovrabbondante comincia a effluire. Identica è la maniera per lo zolfo strofinato con la mano o con una lamina metallica: appunto che dopo lo strofinamento manifesti segni di elettrizzazione. Ma che presenti elettricità contraria, cioè per difetto, proviene dal fatto che la disposizione delle particelle, che lo strofinio produce nello zolfo, favorisce meno la sua forza attrattiva, onde il corpo deve sopportare una perdita del proprio fuoco; ma poi, al cessare dell'attrito, e ricostituitasi la naturale disposizione delle particelle, ritorna anche la primitiva forza, rivendica a sè il fuoco perduto, il quale perciò comincia a confluire nello zolfo. Ho detto che il fuoco acquisito dal vetro comincia a effluire da esso; similmente comincia a confluire allo zolfo quello perduto: infatti, nè il fuoco in eccesso in quello fuoriesce tutto immediatamente, nè il fuoco mancante in questo viene in un istante reintegrato; ma queste cose accadono soltanto un po' alla volta, ed in successione: il che è assai verosimile che la ricostituzione delle particelle avvenga soltanto a poco a poco e successivamente sia nel vetro che nello zolfo così strofinati. Ciò è pure sufficiente per intendere come, appunto, appena cessa lo strofinamento, si manifestino segni di eccesso nel vetro e di difetto nello zolfo. Anzi, sono questi stessi segni elettrici che ci insegnano che altrettanto intervallo di tempo occorre al vetro per deporre tutto il fuoco assorbito, quanto allo zolfo per ristorarsi di quello perduto; infatti, quando si esaminino ripetute volte questi corpi, dànno di volta in volta segni elettrici nuovi per un tempo abbastanza lungo. Del resto, se le cose non stessero così, si potrebbe facilmente mostrare che nessun corpo si elettrizzerebbe per un semplice strofinamento. Infatti, il fuoco che, p. es., si accumula nel vetro dalla mano strofinante, rifluirebbe tutto nelle dita non appena cessasse di essere strofinato. Se si elettrizza bisogna tener presente quanto dicevo prima: che il fuoco comincia soltanto ad effluire. Ma forse Ti sembrerà superfluo tirare in ballo ancora queste cose, che altrove esposi più diffusamente, descrivendoti gli esperimenti sulla seta da me eseguiti.
Ma non vi sarà forse nessun'altra causa oltre lo strofinamento, che aumenti o diminuisca le forze attrattive dei corpi nei confronti del fluido elettrico? Non vi sono forse parecchie vie attraverso le quali i moti delle più piccole particelle vengano eccitati? Dai medesimi principj si deduce facilmente che dove si riscontrano questi moti, ivi debbono sia mutarsi le posizioni, sia accrescersi o diminuirsi le forze attrattive, e di conseguenza anche il fuoco elettrico deve subire quelle vicissitudini che abbiamo visto sopra.
Esiste inoltre, anche un'altra causa che (a meno che non preferiamo designarle entrambe con lo stesso nome) equivale alla frizione. E' noto che qualunque forte percossa produce lo stesso effetto dello strofinamento. Non c'è bisogno di ricordare gli innumerevoli esperimenti, che si rifanno a questa questione; ma non opererò inutilmente descrivendo questo soltanto. Percuoto una volta sola, il più fortemente possibile, una lastra di vetro, completamente essiccata al fuoco, con un martello di legno (meglio se ricoperto di carta dorata), facendo solo attenzione che non si spezzi: compare una qualche elettricità su entrambe le superficie, ma quanto mai debole; essa tuttavia, con colpi ripetuti cresce al punto che foglioline metalliche poste alla distanza di quattro e più pollici, si drizzano, svolazzano ecc., mentre si vedono anche pennacchi di luce e si odono crepitii. Ma è degno della massima attenzione il fatto che non solo la parte di vetro sottoposta alla percussione del martello si elettrizza, ma anche altre parti circostanti; talvolta anche quelle che distano tre pollici dal luogo della percussione attraggono abbastanza sensibilmente le foglioline: la qual cosa si accorda benissimo col mio principio; infatti, la disposizione delle particelle non si muta soltanto in quei punti in cui si è avuta la percussione, ma anche in quelli adiacenti, fin dove appunto giunge uno scuotimento abbastanza energico: di qui il mutamento delle forze, di qui gli effetti rispetto al fluido elettrico, dai quali consegue questo mutamento.
Mi stupirei se a questo punto qualcuno non si facesse avanti e volesse capire da me: ora, nelle soluzioni, nei miscugli di fluidi, nelle effervescenze, conflagrazioni, ecc., che sono di pertinenza della chimica, rinnovandosi tanto e in tanti modi l'intreccio anche delle più piccole particelle, e le loro forze reciproche mutandosi così sensibilmente che anche ad occhio nudo le scorgiamo agire ora più intensamente, ora più blandamente, ora, dico, che in queste operazioni chimiche il fuoco elettrico sopporti alcunchè, e, il che è consentaneo ai principj da me posti, si origini una qualche elettricità: ma se davvero si origina, perchè non se ne mostrano affatto i segni?
In verità io sono persuaso che in tutti questi moti, ossia alterazioni dei corpi, il fuoco elettrico è diversamente coinvolto, e subisce varie vicissitudini: precisamente confluisce laddove la forza attrattiva si manifesta più intensamente. Invero, siccome le manifestazioni dell'elettricità si hanno soltanto, come abbiamo visto sopra, allorchè, ricostituendosi le forze, il fuoco elettrico ritorna allo stato precedente; se questo ritorno avviene in certo qual modo insensibile, per il fatto che le forze si ricostituiscono in modo estremamente lento, è evidente che non si possono avere segni sensibili di elettricità. E questo sembra essere il caso di quei moti che diciamo chimici. Per questa ragione si capisce facilmente perchè, sebbene questi moti intestini inducano un mutamento di sicuro più notevole delle particelle, e perciò variazione delle forze reciproche, più sensibile e più notevole dello strofinamento, nullameno quest'ultimo sia più adatto ad eccitare l'elettrizzazione. E infatti nel vetro, p. es., nell'istante in cui cessa la forza di pressione, ossia vien tolto il contatto col corpo premente, immediatamente si genera uno sforzo delle particelle nel vetro a ricostitursi, e questo sforzo è in ogni caso abbastanza forte, e quindi manifesta effetti abbastanza sensibili. Il contrario avviene nei moti che hanno origine non tanto da una causa esterna, quanto dall'azione di forze reciproche. Qui, infatti, quella forza in qualche modo intrinseca, che ha prodotto il mutamento delle particelle, non viene a cessare immediatamente; ma, essendo sempre presente, occorre che sia distrutta da una forza contraria: il che, come ho detto, sembra non possa avvenire se non per insensibili gradi.
Ma possono esserci anche altre circostanze che vietano che l'elettricità si manifesti con segni sensibili, ed in esperimenti di questo tipo rendono vana ogni accuratezza. Infatti sebbene, p. es., facciamo in modo di isolare accuratamente i recipienti, come possiamo evitare che gli effluvii, che da corpi così tormentati vengono continuamente diffusi, e spesso in tale immane quantità che quando incontrano gli occhi, stabiliscano una qualche comunicazione, e disperdano rapidamente ogni elettricità, nel caso che ne sia prodotta? Anche l'aria atmosferica, per quanto pura, e perfino gli altri corpi, che diciamo coibenti, non lo sono così perfettamente al punto da non poter contenere in sè un qualche debole grado di elettricità. Non c'è quindi da meravigliarsi se per malaugurato evento succedono questi fatti. Tuttavia non oserei neppure affermare senz'altro che in queste operazioni chimiche non si possano mai ottenere segni sensibili di elettricità. Gli esperimenti che io stesso finora ho istituito su tale questione sono troppo pochi: se ne intraprendessi di più, e più accurati, come è mia intenzione, non escludo che una volta o l'altra la cosa possa riuscire secondo i miei desideri. Ed invero, non sono soltanto io ad essermi assunto la cura di esperimenti di questo tipo, che possano arrecare maggior luce; infatti, anche Tu, Uomo solertissimo, alcuni anni fa avevi rivolto il tuo interesse a capire in quale misura i moti elettrici che si dicono chimici, siano prodotti dal fuoco elettrico. C'è tuttavia da rammaricarsi, se quelle cose che in seguito avrai scoperto, ci siano sino ad ora rimaste ignote.
Da ultimo ritengo di dover aggiungere una cosa che si confà non poco al nostro argomento: precisamente, se si ammette che il fuoco elettrico sia soggetto a queste vicissitudini, soltanto per la diversa posizione delle particelle costituenti i corpi, ora in modo non incongruo si può poi ricavare dallo stesso principio l'Elettricità Naturale: si presenta, infatti, una facile spiegazione del perchè e donde essa tragga origine. Chi non capisce, infatti, che le alterazioni, sia quelle che avvengono nei corpi posti sopra la terra sia quelle che avvengono nell'atmosfera, ossia nelle molecole dell'aria stessa e nei corpi eterogenei in essa sospesi, dei quali le posizioni, l'intreccio, ecc., così spesso si mutano, devono parimenti mutare le forze rispettive; e di conseguenza il fuoco affluisce ora dalla terra all'aria e alle nubi, ora da queste alla terra; ed appena ristabilitesi le forze si ritorna di nuovo allo stato di partenza, ecc., il che è chiaramente consono al tuo sistema di Elettricità Terrestre - Atmosferica? Inoltre gli esperimenti, che sopra proponemmo sulle operazioni chimiche, sono gli stessi che possono apportare anche qui la massima luce: poichè, tuttavia, di questi non si sa nulla, non oserò dare per certo alcunchè, ma voglio che quanto affermai in proposito tenga il luogo di congetture.
Abbiamo aperto un campo certamente vasto al principio d'attrazione, dal quale ritengo che il fuoco elettrico tragga vigore. Ma è mirabile quanto più ampio ancora apparirà se il medesimo principio venga applicato alla teoria dei vetri ed alle altre cose ivi pertinenti. Si è stabilito, dunque, che il fuoco che si accumula su una faccia del vetro ne espelle altrettanto dalla faccia opposta, e viceversa che il fuoco che viene sottratto ad una faccia ne attrae una eguale quantità sulla faccia ad essa opposta. Questa legge dei fenomeni, che Franklin per primo stabilì per il vetro, ma che altri dopo di lui scopersero applicabile anche i certi altri corpi, e che infine questa fosse proprietà di tutti quei corpi che diciamo coibenti Tu, Uomo di solerte ingegno, e dotato di somma abilità sperimentale, l'hai ora mostrato chiaramente.
Anzi, questi fenomeni, se ora si suppone la forza attrattiva del fuoco elettrico, non solo si possono conciliare con questa. proprietà, ma, come presentano il carattere dell'attrazione, e si rivelano unica causa di questo effetto, così anche per questo solo fatto la si dovrebbe necessariamente ammettere, posto anche che non fossero presenti argomenti desunti da altri campi, nè altri indizi. Per la qual cosa sono certo di non formulare soltanto congetture, ma di dimostrare nel modo più ampio le cose che dirò.
Ma neppure qui ritengo necessario formulare alcuna di quelle ipotesi finora escogitate per spiegare come avvenga che il fuoco, accumulato su una faccia del vetro, tenda ad espellere il fuoco dalla parte opposta, e viceversa; infatti, quanto sia arbitrario, se non assurdo, ciò che alcuni hanno immaginato su pori del vetro e sulla loro configurazione, è abbastanza evidente di per sè. Anzi, non temo d'affermare che in generale non si può assolutamente concepire che il fuoco che si accumula su una faccia espella veramente il fuoco nativo dalla faccia opposta, ossia agisca su esso con un impulso reale; giacchè consta che quel fuoco eccessivo permea sino a un certo punto la sostanza del vetro.
Per venire dunque alla nostra questione, bisogna richiamare quelle cose che fin dall'inizio stabilii sulla forza attrattiva del fuoco elettrico: appunto che ogni corpo possiede quella quantità di fuoco che corrisponde alle rispettive forze, onde si abbia una saturità naturale. Ho detto saturità non perchè un corpo qualunque non sia assolutamente in grado di attrarre ulteriore fuoco (infatti attribuisco ad essi una qualche forza eccedente: quella forza assoluta che il corpo situato allo stato naturale mostra quando attrae un altro corpo elettrizzato in eccesso), ma perchè questa forza residua, ugualmente potente in tutti i corpi, è equilibrata da ogni parte, e quindi non dà luogo ad alcun effetto: per questa ragione non la chiameremo saturità assoluta, ma saturità rispettiva. Inoltre, già mostrai potersi facilmente ammettere che questa forza, con la quale i corpi attraggono il fuoco elettrico, e ne vengono attratti, può giungere ad una notevole distanza fuori dalle superficie dei corpi. Ciò posto, se si aggiunge a un qualche corpo una quantità di fuoco elettrico, risulta chiaro che il fuoco in esso sovrabbondante, cioè tutto quello che supera la saturità rispettiva, deve trasmettersi agli altri corpi coi quali comunica, affinchè appunto si conservi l'equilibrio delle forze. E' ormai chiaro che ciò avviene in tutti i corpi deferenti; ma non è diversa la modalità nei corpi coercenti, se solo si osservi che anche questi corpi perdono la quantità di fuoco che supera la saturità naturale. C'è solo una differenza, che in quelli nessuna parte è resa sovrabbondante rispetto alle altre dal fuoco che sopraggiunge, nè alcuna è resa deficiente da quello che va via, ma tutte si ritrovano egualmente cariche, per il fatto che il fuoco, scorrendo con la massima libertà, ha potuto distribuirsi uniformemente; in questi, invece, il fuoco sopraggiungente, che li attraversa sino ad un certo punto (si pensi, per esempio, ad una lamina di vetro), deve aderire alla sola superficie A posta dinnanzi alla catena, ed ivi fermarsi; ma la porzione di fuoco, che in seguito a questo nuovo arrivo deve essere del tutto estromessa, affinchè la lastra di vetro non possieda più fuoco di quanto tutte le forze di questo corpo, prese nel loro complesso, esigano per avere la saturità naturale, questa porzione di fuoco, dico, può allontanarsi soltanto dalla superficie opposta B ed essere unicamente somministrata, per così dire, a spese di questa superficie. Ne deriva che la faccia A del vetro si ritrovi sovrabbondante e la B deficiente. Inoltre, è facile prevedere che una cosa analoga avviene quando la faccia A posta davanti alla macchina viene privata di fuoco: infatti, per avere la saturità, altrettanto fuoco viene attratto dalla faccia B: e similmente l'eccesso di fuoco avventizio, non potendo attraversare la massa interna del vetro, si limita a questa sola superficie B, come anche il corrispondente difetto è limitato alla sola altra faccia A.
Ma, diranno alcuni, se ciascuna superficie del vetro è dotata di quella parte di fuoco che corrisponde alle proprie forze, che cosa importerà alla superficie B se la quantità di fuoco che compete all'opposta superficie A venga aumentata o diminuita? Qualunque cosa succeda a questa, forse che quella non continuerà a rimanere nel medesimo stato, contenta di possedere la sua rispettiva parte di fluido? Forse che dalla mutazione indotta sulla superficie A, possono venir mutate le forze in B? In realtà si mutano. Chi infatti, in generale non capisce che, quando nel vetro viene ad accumularsi nuovo fuoco, tutta questa quantità di fuoco così accresciuta deve essere meno attratta dalla somma delle forze proveniente da tutte le particelle di vetro prese complessivamente, ossia, ciò che è lo stesso, che queste stesse forze, che naturalmente richiedono una determinata parte di fuoco, non sono più sufficienti a trattenere una quantità eccedente; e per contro, quando nel medesimo vetro viene sottratta una parte del fuoco nativo, diminuendosi la quantità naturale, le forze che risultano dalle particelle del vetro prese nel loro complesso sono sovrabbondanti e sono atte a procacciarsi nuovo fuoco? Ciò che poi si diceva, che ciascuna superficie debba essere contenta della porzione di fuoco che naturalmente le compete, qualunque cosa succeda alla superficie opposta, è quanto mai fuori luogo. Infatti, ciascuna superficie non deve essere considerata come se fosse isolata e non avesse nulla in comune con la superficie opposta: cioè come se l'una agisse indipendentemente dall'altra. Infatti questa indipendenza non può esserci riguardo alle forze attrattive, quando queste forze di qualunque particella si estendano ad una distanza maggiore dello spessore di tale corpo, cioè dello spazio che intercorre tra le superfici opposte. Perciò lo spessore della lamina di vetro, quasi insignificante rispetto alla distanza alla quale giunge la forza con cui il fuoco elettrico e le particelle di questo corpo si attraggono reciprocamente, non può impedire che una superficie influisca sull'altra, e che un mutamento di forze della prima determini parimenti un mutamento nella seconda. Consideriamo dunque nuovamente il vetro, quando in una sua faccia A, che viene presentata alla catena, venga accumulato sempre nuovo fuoco: la forza attrattiva, che unicamente veniva impiegata nel fuoco nativo, deve necessariamente rivolgersi anche a questo nuovo fuoco, e perciò diventa più debole nei suoi confronti. Ma la forza attrattiva non solo si indebolisce nella superficie A del vetro, con la quale il fuoco sopraggiungente viene subito in contatto, ma anche nell'opposta superficie B; infatti, poichè il fuoco sopraggiunto non è molto distante dalle particelle componenti questa superficie B, e si trova nella loro sfera d'azione, anche queste debbono, per la loro propria forza e per la distanza, agire su di esso, e di conseguenza, per quella parte utilizzata altrove, diventare tanto più deboli e divenire insufficienti a trattenere ancora il fuoco nativo che prima trattenevano strettamente aderente a sè. Ecco come, per l'aggiunta di nuovo fuoco in A, l'attrazione, in B, verso il fuoco nativo diminuisce: il quale perciò viene distribuito ai corpi deferenti, dal momento che questi corpi con forze ancora integre attraggono maggiormente a sè questo fuoco.
Del caso contrario, il ragionamento è il medesimo. Quando viene estratto fuoco dalla superficie A, le forze delle particelle nel vetro, diventate, per così dire, digiune, richiedono ora chiaramente nuovo fuoco con cui saziarsi: ma bramano questo fuoco non soltanto le particelle della superficie A, la quale è veramente esausta, ma anche le particelle della superficie B, infatti anch'esse in questo nuovo stato non possono essere contente della loro parte di fuoco, di cui lo erano prima, in quanto ora una parte delle loro forze verrebbe impegnata anche per quel fuoco che risiedeva sulla superficie A. Se queste cose non appaiono in modo chiaro, temo proprio che nessuna delle cose che risultano per me certe possa mai esserlo anche per gli altri: come neanche quella che non solo il vetro, ma tutti i corpi coercenti, in quanto elettrizzati, obbediscono a queste stesse leggi, consegua necessariamente dai miei principj; ed ancora ne segua che il vetro e gli altri corpi, a parità di condizioni, siano tanto più adatti a questa esperienza quanto minore è il loro spessore; giacchè quanto più la superficie B è vicina alla superficie A, tanto più intensamente le forze delle particelle di questa agiscono sul fuoco appartenente a quella.
All'inizio, quando avevo elaborato questa teoria dei vetri, che ho esposto sopra, mi preoccupavo non tanto di approfondirla, quanto più tosto di illustrarla (perchè a me e ad altri, se ve ne erano, curiosi di queste faccende, riuscisse più plausibile) con un esempio che trovai abbastanza succoso nel magnete. Sospendevo ad una pietra un peso di ferro, che più grande non l'avrebbe potuto sostenere: se poi accostavo abbastanza da vicino alla medesima pietra un altro ferro, il primo si staccava. Perchè questo? Perchè le forze del magnete, che erano pari nel sostenere il primo peso, quando erano rivolte unicamente ad esso, ora, essendo impegnate anche in quest'altro, avevano in parte abbandonato il primo. Ci piacque pertanto riprodurre in qualche modo le cose che avevamo visto accadere nel vetro. Prendevo una sottile lamina d'acciaio, ben impregnata di forza magnetica, e, come prima, osservavo che la forza, con la quale la sua faccia inferiore sollevava un peso abbastanza grande, diminuiva molto quando applicavo un altro ferro all'altra faccia superiore. Inoltre, se caricavo entrambe le facce della lamina d'acciaio con tanti pezzetti di ferro quanto bastasse a sostenerli dalle due parti, allora era per me gradevolissimo osservare che, aggiungendo una nuova massa di ferro alla faccia A, alcuni pezzetti che aderivano alla faccia B, abbandonati a sè stessi, cadevano; al contrario, sottratti alcuni pezzetti dalla stessa faccia A, la faccia B acquistava nuova forza d'attrazione: infatti, invero, traeva a sè nuovi pezzetti di ferro che le venivano presentati. L'esperimento diventava ancor più piacevole, come quando venivano poste sott'occhio le cose che avvengono nel vetro nei riguardi del fluido elettrico, se la lamina d'acciaio veniva rivestita da entrambe le parti non da irregolari pezzetti di ferro, ma da limatura di ferro, quanta ne fosse necessaria per raggiungere la saturazione; allora, se diminuivo il mucchio di limatura di ferro sulla faccia A, subito il cumulo sulla faccia B bramava un aumento, precisamente quando avvicinavo ad essa nuova limatura, la traeva a sè; viceversa, se aumentavo il cumulo di limatura in A, quello in B si assottigliava e si riduceva: chi non vede che tutte queste cose sono del tutto analoghe a quelle che accadono al fluido elettrico aderente al vetro? Inoltre, non c'è dubbio che quelle cose nel magnete avvengano per la forza d'attrazione sul ferro; perchè allora anche questi fenomeni che avvengono nel vetro non dovrebbero trarre origine da una causa simile, cioè da una forza attrattiva di questo corpo sul fuoco elettrico?e
Ma d'onde mai viene fuori la scarica? Cos'è che fa in modo che il fuoco accumulato in una faccia del vetro irrompa con tanta violenza nella faccia che ne difetta? Sembra, infatti, se sono vere quelle cose stabilite sulla forza attrattiva e sulla saturità naturale, che non vi sia nessuna ragione di questo efflusso così repentino; infatti, poichè a un eccesso su una superficie corrisponde un difetto nel-l'altra, il vetro si appropria soltanto di quella quantità di fluido che compete alle forze assunte tutt'insieme, cioè quella che è richiesta per raggiungere la saturità: che cosa importa se ottiene questa saturità in questo o in quel modo? Invero, se ammettiamo (il che tuttavia non può essere ammesso in modo assoluto) che le forze attrattive non esigano affatto che il fuoco accumulato su una faccia del vetro irrompa con quella forza verso l'altra faccia, dalla quale fu estratta un'uguale quantità, tuttavia l'elasticità di questo fluido postula del tutto questa cosa: e questa l'elasticità, cioè la forza con la quale il fuoco elettrico tende a conservare ovunque un'eguale densità, io l'ho sempre ammessa, e di questa, sebbene in questa sede mi sia unicamente proposto di ricercare quali siano quelle cose che la forza attrattiva genera nei fenomeni elettrici, non me ne sono tuttavia minimamente dimenticato. Ma del modo in cui avviene la scarica, e delle cose che ne seguono, se ne dirà più sotto, trattando dell'Elettricità Vindice.
Dalle cose fin qui riportate, risalta particolarmente ciò a cui sopra ho soltanto accennato: precisamente che tutte queste cose avvengono nei corpi coibenti ma pochissimo nei conduttori, poichè in questi, per es. in una lamina metallica, il fuoco che viene immesso in una superficie dalla catena, non si ferma affatto lì, come avviene nella superficie di una lamina di vetro, ma pervadendo la massa più interna del corpo si distribuisce ovunque ugualmente. E se si desse il caso in cui a questo corpo ci sia una qualche aggiunta di fuoco, senza che lo penetri veramente e venga accolto nel suo seno (il qual caso si ha quando si avvicina a una certa distanza la lamina metallica B alla catena A), allora sostengo del tutto che fra questi due corpi, la lamina e la catena, deve certamente intercorrere la stessa cosa che intercorre tra l'una e l'altra faccia del vetro. Infatti, il fuoco sovrabbondante nella catena, per quanto non penetri nel corpo B per l'interposizione dell'aria, è tuttavia da ritenere che in qualche modo gli competa, a causa dell'esigua distanza a cui si estendono le forze attrattive. Ma noi questo fuoco, che non penetra nel corpo B, ma si avvicina abbastanza da poter agire su di esso con forze attrattive, diremo con vocabolo spiccio che viene applicato. Orbene, è stato dimostrato che il fuoco esterno, applicato a un qualunque corpo, diminuisce l'attrazione totale delle particelle di questo corpo nei confronti del fuoco nativo; pertanto, per questo stesso principio, la lamina B deve perdere fuoco proprio e divenire elettrizzata per difetto. Ma abbiamo scoperto che le cose vanno proprio così; e tutti quegli esperimenti che tu presentasti nella ricordata dissertazione sull'Atmosfera elettrica portano a ciò. A questo punto è bene seguire uno per uno i principali esperimenti, affinchè risulti più chiaramente come essi derivino spontaneamente dal mio principio.
Dunque, se avvicino un corpo B isolato, e per nulla elettrizzato, alla catena A, collocandolo a una certa distanza da questa, quando avvicino un dito a B, il fuoco si diffonde da questo nel dito, perchè il fuoco sovrabbondante della catena, e che forma attorno ad essa l'atmosfera elettrica, viene applicato al corpo B: pertanto, per questo aumento la somma delle forze dello stesso corpo B sul fuoco nativo diventa più debole: il quale perciò viene attratto dal dito, dotato di una forza integra. Fa che ora io allontani il corpo B dal corpo A: non fa meraviglia se ora dallo stesso dito avvicinato, o da qualunque corpo, attrae a sè fuoco; anzi, è evidente che esso deve trovarsi in un naturale difetto, per il fatto che da una parte ha perduto il proprio fuoco, dall'altra è ormai abbandonato dal fuoco sovrabbondante della catena A. O più chiaramente: finchè il corpo B stava vicino alla catena A, anche se aveva scaricato nel dito una parte del fuoco nativo, tuttavia, quando l'eccesso della catena ad esso applicato si fosse composto col naturale difetto, il fuoco corrispondeva ancora alla somma delle forze del corpo B, cioè raggiungeva la saturità; la qual saturità non si raggiunge più, una volta allontanato l'eccesso della catena; onde è necessario che la naturale indigenza nel corpo B, che viene minimamente compensata, si manifesti apertamente. Ma se, dopo che per il toccamento del corpo B, così allontanato dalla catena, viene immessa in esso la parte di fuoco che mancava, nuovamente lo si avvicini alla catena, è facile prevedere che di nuovo ne sovrabbonderà: tolto questo eccesso, se un'altra volta lo si allontana, di nuovo ostenterà il naturale difetto; e così daccapo. Inoltre, è manifesto altresì che le stesse cose debbono accadere se, invece di allontanare il corpo B dalla catena, avrò allontanato questa, o l'avrò privata di ogni elettricità; poichè certamente null'altro si richiede a ciò che il corpo B manifesti segni d'indigenza, se non quando venga abbandonato dal fuoco sovrabbondante della catena, che gli veniva applicato. Ma come si può concepire che il fuoco che effluisce dalla catena, e forma l'atmosfera elettrica, si applichi al corpo B, senza entrare veramente in esso, specialmente quando c'è una reciproca l'attrazione delle particelle di questo corpo col fuoco? Già ho detto che l'aria interposta trattiene il fluido: infatti, sebbene anche l'aria stessa non rifiuti del tutto d'intridersi sino a qualche distanza di questo fuoco in eccesso della catena, impedisce tuttavia moltissimo il suo libero movimento, e non consente che fluisca dove vuole: vediamo infatti che l'aria accoglie con difficoltà il fuoco, e quello che ha accolto lo libera con non minore difficoltà.
Ecco dunque ciò che chiamo applicazione del fuoco della catena al corpo B: quando appunto codesto corpo si avvicina abbastanza alla catena, ovvero s'immerge nella sua atmosfera, in modo che il fuoco sovrabbondante della catena stessa possa agire su di esso con una forza attrattiva, ma tuttavia non si avvicina abbastanza affinché la massima parte di questo fuoco possa squarciare lo strato d'aria e, aprendosi una via libera, entrare nel corpo B: e non sto a guardare se una parte esigua di fuoco entri, la parte appunto che, dalla stessa aria che forma l'atmosfera elettrica, può essere lentamente deposta in esso.
Del resto, che cosa occorre di più per dimostrare che la miglior parte del fuoco sovrabbondante nella catena non passa affatto nel corpo B alquanto distanziato? Non risulta abbastanza chiaramente dal fatto che, sebbene il corpo B così distante comunica col suolo, tutta l'elettricità rimane saldamente nella catena, e continua a lungo ad aver vigore, mentre svanirebbe immediatamente, se di continuo il fuoco in eccesso si trasfondesse nel corpo B? Finalmente, non vediamo forse il fuoco aprirsi una via solo allorquando il corpo B è molto più vicino alla catena, e tale che quasi si tocchino? Allora infatti appaiono scintille vividissime, manifesti indizi di emissione; e se questo corpo B comunica col suolo, immediatamente svanisce l'elettricità nella catena.
Ormai, dunque, risulta chiaro: I. che il corpo B posto ad una qualche distanza dalla catena perde il proprio fuoco non perchè accolga nel suo seno il fuoco sovrabbondante della catena, e quasi se ne imbeva, ma perchè questo eccesso è altrettanto presente sullo stesso corpo B, e gli si applica: col quale nome di applicazione già più d'una volta ho detto di intendere la reciproca azione delle forze; II. e che questa è la causa per cui il medesimo corpo B, quando viene dapprima allontanato dalla catena, richiede nuovamente una quantità di fuoco eguale a quella perduta: infatti, esso è privato del fuoco sovrabbondante della catena, che non ha potuto portar via con sè, ma fu necessario abbandonare aderente alla catena stessa, e in qualche modo trattenuto dall'aria.
Per quanto riguarda il secondo punto, non vi sarà adito ad alcun dubbio, se si dimostrerà che questo stesso corpo B, dopo essere stato allontanato dalla catena, non mostrerà alcun difetto quando sarà stato tanto vicino alla medesima catena da non esserci alcun impedimento a che il fuoco sovrabbondante possa passare in esso e penetrare nel suo interno: in questo caso, infatti, quanto di fuoco avrà emesso, altrettanto ne avrà assorbito da altre parti, e, trattenuto questo nel suo seno, lo conserverà, in qualunque luogo poi venga portato, e quindi è come se nulla avesse perduto.
Dico che il corpo B, avvicinato alla catena sino al contatto, quando poi ne venga allontanato non presenta alcun difetto, ma si trova allo stato naturale, ogni qual volta toccando opportunamente tale corpo allorquando era contiguo alla catena, ne avremo estratto il fuoco. Ritengo che ciò sia da intendere così: se il corpo B, nel tempo in cui toccava la catena, non è stato per nulla toccato, in tal caso, dopo il distacco non soltanto non sarà deficiente, ma per di più, come tutti da tempo sanno, sarà trovato elettrizzato in eccesso, per il fatto che avrà ricevuto una parte abbastanza notevole del fuoco sovrabbondante della catena, senza aver perduto alcunchè del proprio. Ma che cosa succede poi quando lo stesso corpo B non è bene a contatto con la catena, nè viene toccato convenientemente? Naturalmente sarà dato di dedurre, dalla maggiore o minore distanza dalla catena, dal perfetto o imperfetto contatto, se e quali segni di elettricità si manifesteranno: è infatti chiaramente manifesto che se il corpo B fu così vicino da aver preso dalla catena ancora di più di quanto non abbia scaricato nel dito un poco più lontano, mostrerà per questa differenza un'elettrizzazione eccessiva; al contrario, se il tragitto del fuoco dal corpo B nel dito accostato più da vicino, sarà più facile che dalla catena, un po' più lontana, nel corpo B, per questa differenza apparirà, nello stesso B, elettricità in difetto. L'esperienza testimonia che le cose vanno proprio così.
Da queste cose è facile dedurre perchè, sebbene questi due corpi, cioè la catena e il corpo B, si comportino senza dubbio l'uno rispetto all'altro come si comporta la faccia A della lastra di vetro verso l'altra faccia B, tuttavia per loro mezzo non si possa ottenere una scarica così energica come si ha nella lastra di vetro. E difatti la lastra di vetro ha questo vantaggio, che non permette assolutamente alcun transito di fuoco dalla superficie A alla superficie B, poichè anche quell'esiguo spessore del vetro impedisce ogni accesso; ma che nel tempo stesso esista una distanza minima tra l'una e l'altra faccia, pe cui accade che le forze della superficie A si estendano fino a B, ed agiscano reciprocamente con grande intensità. Il contrario avviene nel corpo B: infatti, se dista di un breve tratto dalla catena, in questa il fuoco non può accumularsi validamente, senza che anche in esso una gran parte di questo fuoco vi penetri, superata ovviamente la resistenza dell'aria interposta. Quindi non deve avvicinarsi troppo: allora, però, quanto più è distante, tanto minore è l'azione che il fuoco in eccesso nella catena eserciterà in esso corpo B, e perciò distacca da questo una minore quantità di fuoco nativo.
Del resto, anche questa scarica tra catena e corpo, nella sostanza, non differisce affatto, come accennai, dalla scarica tra le due facce del vetro: differisce soltanto per l'energia, cioè per la grandezza dei loro effetti; la quale differenza non fa sì che la si ritenga di genere diverso. E, in verità, che cosa succede nella scarica del vetro, che non vediamo accadere anche qui? Quando esploro il vetro avvicinando il dito della mano destra alla faccia superiore A in eccesso, e il dito della sinistra alla faccia inferiore B in difetto, una scintilla va da A nel dito della mano destra accostato, e al tempo stesso una simile scintilla scocca dal dito della sinistra all'opposta faccia B. Avviene precisamente la stessa cosa quando, col dito della sinistra affacciato molto vicino al corpo B posto a debita distanza dalla catena, col dito della destra tocco la catena stessa: mentre da questa si produce una scintilla che penetra nel dito, un'altra scintilla dal dito della sinistra penetra nel corpo B. Che se non sono scosso così forte, come nella scarica del vetro ben elettrizzato, tuttavia le mie dita sono punzecchiate, e talvolta la sensazione si propaga oltre la mano fino al braccio: il che è certamente una commozione dello stesso tipo. In una parola, percepisco la stessa commozione che, in un clima meno secco, mi è dato ottenere da un vetro poco elettrizzato. Inoltre, nel vetro si osserva questo fatto: che il fuoco sovrabbondante in una faccia irrompe nell'altra faccia deficiente per la via più breve: per cui succede che, come nell'esempio riportato, sebbene la faccia inferiore del vetro comunichi col suolo, tuttavia il fuoco non entra in questa faccia deficiente dal suolo, ma piuttosto dal dito della sinistra avvicinato moltissimo ad essa. Di nuovo, anche nell'altro esperimento del corpo B avvicinato alla catena sussiste la stessa legge: infatti, se con la destra esploro la catena, col dito della sinistra accostato quanto più da vicino al corpo B, sebbene questo comunichi col suolo, non di meno tuttavia il fuoco elettrico entra dal dito in questo corpo B, come io stesso ho più volte sperimentato.
Ora Tu vedi bene, Uomo illustrissimo, che non è affatto necessario che io adduca esempi di elettricità contraria. Infatti, dopo aver considerato ciò che succede nel corpo B, quando alternativamente venga avvicinato e allontanato dalla catena, o da qualunque corpo elettrizzato per eccesso, si può facilmente dedurre che cosa debba succedere allo stesso corpo B, quando venga avvicinato ad una macchina o a qualunque altro corpo elettrizzato per difetto. Precisamente, è chiaro che come il fuoco elettrico appartenente al corpo B, se a questo veniva applicato il fuoco sovrabbondante della catena, sebbene non entrasse, veniva aumentato di tutto quell'eccesso, onde, lo stesso corpo B, per non superare la saturità, emetteva il proprio fuoco, richiedendolo subito, appena venisse destituito da quell'eccesso della catena; così questo medesimo fuoco, il quale per natura compete al corpo B, per il fatto di tendere verso la macchina deficiente, ossia le venisse applicato, anche senza un vero transito, verrebbe sminuito di tutto quel difetto di macchina: onde, per instaurare e mantenere la saturità, il corpo B attirerà a sè il fuoco dall'esterno e lo dovrà perdere nuovamente appena cessi di lavorare per difetto della macchina. Siccome dall'un caso si deduce l'altro allo stesso modo con facili ragionamenti, non mi si deve attribuire come difetto se, preoccupandomi della brevità, il più delle volte riterrò sufficiente anche in seguito desumere gli esempi soltanto dall'elettricità in eccesso.
Ma torniamo al punto da cui ci siamo un po' allontanati. Dissi che il corpo B non deve essere accostato cosi vicino alla catena, acciocchè si abbiano segni di elettrizzazione contraria quando lo si allontana; bensì deve essere collocato ad una mediocre distanza da quella: altrimenti, infatti, succederebbe che tutta, o la massima parte, di fuoco sovrabbondante, entrando liberamente da questa in quello, compenserebbe il difetto che avrebbe dovuto manifestarsi nel corpo B. Mi pare di aver dimostrato questo fatto in modo evidentissimo. Si potrebbe, tuttavia, obiettare: I. non essere generalmente vero che il corpo B, qualora sia stato troppo vicino a qualsivoglia corpo elettrizzato, anche fino a toccarlo, non giunga mai ad avere l'elettricità contraria che gli competerebbe se fosse rimasto ad una maggiore distanza; è certo infatti che il corpo B, avvicinato al vetro, allo zolfo, a una calza di seta o ad altro corpo di questo genere, che venga elettrizzato per strofinio, avvicinato, dico, sino al contatto, se venisse prima esplorato col dito e poi allontanato, mostrerebbe segni abbastanza sensibili di elettricità contraria; II. Ci sono esperimenti i quali dimostrano che il fuoco sovrabbondante di un corpo elettrizzato non entra affatto in un altro corpo, anche se l'uno e l'altro sono del genere dei deferenti, e magari si tocchino. Di questo tipo è l'esperimento, certamente bellissimo, che Tu facevi per primo, e che io ho ripetuto più volte con lo stesso pieno successo. Se in un cilindro metallico vuoto, abbastanza alto, del diametro anche di parecchi pollici, chiuso al fondo, convenientemente isolato ed elettrizzato dalla catena, (lo chiami pozzo elettrico), si introduce un piccolo globo rivestito con una lamina metallica e appeso a un filo di seta, in modo che tocchi il fondo del pozzo, e se poi lo si estrae cautamente per mezzo dello stesso filo di seta, lo troviamo imbevuto da nessuna o estremamente esigua elettricità; invano ci si attenderebbe da esso segnali elettrici, che tuttavia dovrebbe palesarne di abbastanza sensibili, se una parte del fuoco sovrabbondante nel pozzo si fosse trasmessa al globo, quando ne toccava il fondo.
Per ovviare a quest'ultima difficoltà, affermo in primo luogo: dal fatto che in qualche caso, in cui le circostanze appaiono molto differenti, il fuoco sovrabbondante in un corpo deferente non entri affatto in un altro corpo egualmente deferente (come accade nell'esperimento or ora riportato) si deduce erroneamente che esso non debba penetrare neppure negli altri casi, in numero di gran lunga maggiore, in cui c'è questo contatto: come quando presento questo stesso globo ad una catena, o anche alla faccia esterna del pozzo stesso. Perciò, perchè il mio principio sia valido, ritengo più che sufficiente se, in tutti gli esperimenti sopra riportati, nei quali il corpo B, avvicinato dapprima alla catena ad una debita distanza e poi toccato, acquistasse poi l'elettricità contraria quando ne venisse allontanato; invece ora questa elettricità contraria non si stabiliva quando lo stesso corpo B era stato avvicinato troppo, anche fino al contatto. Sarebbe, dico, sufficiente per me se in tutti questi casi risultasse che il corpo B, a contatto con la catena, debba in realtà assorbire da essa il fuoco eccedente, ed accoglierlo in sè.
Del resto, la spiegazione di questo singolare esperimento del pozzo elettrico è evidente: precisamente può indicarsi la causa, ed anche questa tratta dai miei principj, per cui la sferetta fatta scendere abbastanza profondamente nel pozzo non accoglierà il fuoco sovrabbondante. Immaginiamo che questa sferetta immersa nella cavità del pozzo, sia circondata da ogni parte dall'atmosfera elettrica, ossia dal fuoco sovrabbondante dello stesso pozzo: ma questo è ciò che chiamo applicazione del fuoco elettrico. Ma è dimostrato che per tutto questo eccesso deve accrescersi la somma del fuoco proprio, cioè la parte che compete alla sferetta nello stato naturale: perchè, appunto, non si abbia nulla al di sopra o al di sotto della saturità. Perciò questa sferetta in mezzo a questa applicazione di fuoco ridondante, si comporterà come un corpo veramente elettrico per eccesso, anzi egualmente elettrico come il pozzo stesso. Se la cosa è così, come non c'è alcuna ragione che il fuoco tragitti da un corpo sovrabbondante ad un altro similmente sovrabbondante, così non ve ne sarà alcuna per cui il fuoco dalla faccia interna del pozzo penetri nella sferetta, che con quella sola applicazione già è diventata egualmente sovrabbondante.
Se qualcuno chiedesse nuovamente il perchè queste cose succedano soltanto nel caso in cui la sferetta sia circondata da ogni parte dal corpo elettrizzato, e nient'affatto quando questa medesima sferetta è accostata molto da vicino a un estremo solo della catena, o alla faccia esterna del medesimo pozzo; è ovvio infatti che anche questa sferetta per quell'eccesso che è nel corpo elettrizzato, se sono vere le cose che ho dette, deve subire un aumento, quindi non c'è motivo perchè questo fuoco sovrabbondante entri da quel corpo in questa sferetta, risponderei che la ragione è assai differente. E, infatti, supponiamo che la sferetta, non appena si avvicini alla catena, con la semplice applicazione dell'eccesso di questa, riesca elettrizzata allo stesso modo di quella. Va bene, ma poi? Ora è chiaro che la situazione non rimarrà più a lungo nel medesimo stato: infatti, il fuoco nativo, che nella sferetta è diventato sovrabbondante per questo nuovo accesso, si disperderà per qualunque via, cioè si diffonderà nei corpi deferenti, nel caso siano presenti, o almeno anche nell'aria non sovrabbondante, finchè questo viene sopportato; l'aria, perciò, mentre il fuoco nativo si diffonde, fa in modo che la sferetta non continui per nulla a rimanere nello stesso stato elettrico della catena; e così al fuoco proveniente dalla catena si fa posto perchè entri nelle parti più interne di quella sferetta. Al contrario, nel ricordato esempio del pozzo, la piccola sfera immersavi abbastanza profondamente, si equilibra col pozzo, cioè ugualmente al pozzo continua ad essere elettrizzata in eccesso, onde il fuoco proprio della sferetta non potrebbe in alcun modo diffondersi nell'aria ormai ugualmente sovrabbondante, dalla quale è circondata nella cavità interna del pozzo; e perciò non potrebbe neppure cedere il posto perchè il fuoco del pozzo s'introduca nella sferetta stessa. D'altra parte, il fuoco nativo si libererà dalla sferetta appena le s'introduca vicino qualche corpo deferente, oppure quando, col pozzo ormai apertof si apra una via nell'aria libera e non sovrabbondante; ed allorchè perderà del suo, subito a sua volta raccoglierà dal fuoco sovrabbondante all'interno del pozzo. Non essendoci, dunque, dubbio che il fuoco sovrabbondante di un corpo elettrizzato in eccesso s'introduca in un qualunque corpo B, se questo gli venga accostato quanto più da vicino, o addirittura lo tocchi, purchè nulla osti che lo stesso corpo B sia capace di recepire in sè questo nuovo fuoco, giustamente ammettevo: che questo transito di fuoco fosse la causa per cui il corpo B, appena venga allontanato dal contatto della catena, non dia affatto segnali di elettricità per difetto; i quali, invece, darebbe, se prima non fosse stato avvicinato fino al contatto, ma si fosse arrestato a debita distanza dalla catena, tale cioè, da poter essere d'impedimento a questa trasfusione.
Ma è chiaro che questa cosa va intesa soltanto per i corpi deferenti, nei quali il fuoco elettrico scorrendo molto liberamente, non costretto da alcun impedimento, nè ritardato da indugi, può immediatamente trasferirsi da un corpo all'altro: deve cioè intendersi quando il corpo B viene a contatto con la catena o con qualunque altro corpo deferente ed elettrico; ma non quando lo stesso corpo B viene a contatto con corpi coercenti, come il vetro, lo zolfo e altri dello stesso genere, che, se elettrizzati per eccesso, non perdono immediatamente il fuoco sovrabbondante, nè parimenti, se elettrizzati per difetto, si appropriano in un batter d'occhio del fuoco altrui per sopperire al proprio difetto, ma lo fanno a stento e poco per volta, per cui se non dopo molto tempo si ricostituiscono all'integrità: il che è stato detto altrove e non una volta sola; ma qui è bene farvi di nuovo cenno, affinchè sia chiaro quanta forza abbia l'argomento che dapprima ci veniva obiettato: precisamente che il corpo B, anche se viene avvicinato moltissimo al vetro, allo zolfo, alla seta, elettrizzati per strofinamento o in altro modo, o ne venga addirittura a contatto e poi venga esplorato, tuttavia non di meno esibirà segni abbastanza sensibili di elettrizzazione contraria, appena rimosso dal contatto. Ma chi non vede che un siffatto esperimento è più adatto a rafforzare e ad ampliare la mia teoria, piuttosto che a infirmarla? Esaminiamo la questione un po' più accuratamente.
Quando il corpo B tocca il vetro elettrizzato, tutto il fuoco sovrabbondante del vetro, aggiungendosi allo stesso corpo B, costringe altrettanto del fuoco nativo ad allontanarsi da quest'ultimo, affinchè non si superi la saturità; veramente però questo fuoco sovrabbondante del vetro non entra tutto nel detto corpo B, ma solo in una certa parte: la parte rimanente, che pure è notevole, è soltanto appiccicata ad esso, per il fatto che, come irretita dal vetro, non è in grado di distaccarsene tanto rapidamente. Ma anche questa parte soltanto applicata, come è stato tante volte osservato, scaccia dal corpo B altrettanto del suo proprio fuoco. Non è dunque evidente che questo stesso corpo deve ben risentire del naturale difetto, quando, non appena staccato dal vetro, viene abbandonato da questa parte di fuoco sovrabbondante, che continua ancora a rimanere attaccata al vetro stesso? In una parola, ciò che vediamo succedere a due corpi deferenti, dei quali uno è elettrizzato, e l'altro no, qualora si avvicinino in modo da lasciare ancora un qualche spazio in mezzo, è la stessa cosa che succede a due corpi, uno deferente e non elettrizzato, l'altro coercente ed elettrizzato, qualora si avvicinino anche fino al contatto. Infatti, come rispetto a quelli l'aria interposta è d'impedimento a che il fuoco si diffonda prontamente dall'uno all'altro; così rispetto a questi, anche se questi due corpi si tocchino fra loro, tuttavia il fuoco eccedente di uno è veramente impedito dalla stessa natura degli isolanti, cioè dalla difficoltà di movimento che il fuoco elettrico presenta in corpi di questo genere.
Ma di questo moto impedito del fuoco elettrico in corpi coercenti, sia di quello naturalmente residente, sia cacciatovi a forza, credo senza dubbio che, dopo le osservazioni fatte sopra, nessuno richieda ulteriori argomentazioni. E se qualcuno insistesse ancora, e chiedesse di essere da me convinto, mi basterebbe comprovargli con questo stesso esperimento che ci sta davanti agli occhi, e alla cui analisi ci siamo diligentemente applicati per raggiungere qualche risultato, che le cose stanno così. E infatti, se a una lastra di vetro ben elettrizzata si applicasse una lamina metallica bene aderente, e se poi si tocca questa lamina per qualche tempo, allo scopo di offrire al fuoco sovrabbondante nel vetro una via libera ad espandersi quanto può, nondimeno appena questa lamina viene staccata dal contatto, ritroviamo una parte abbastanza notevole di fuoco sovrabbondante ancora inserita nel vetro, onde si vedono ravvivarsi in esso i segni elettrici.
Orbene, questa reviviscenza di segni è quella stessa che a Te, illustre Uomo, piacque chiamare Elettricità Vindice, alla quale ora vedi come i miei principj mi abbiano condotto quasi per mano. Pertanto, sebbene essa non differisca affatto dagli esperimenti fin qui riportati e dalle leggi dei fenomeni che abbiamo costantemente mirato ad ottenere, tuttavia, essendo essa come la base di quei nuovi esperimenti che sembrano produrre in questi ultimi tempi la più grande ammirazione, ed avendo Tu coltivato questo campo con cura ed assai felicemente, non senza grandi frutti per ricondurre ad una sola classe tutti i fenomeni di questo tipo, sebbene sembrino molto disparati, questa, dico Elettricità Vindice merita di essere trattata alquanto più diffusamente.
Inoltre, l'esempio riferito, nel quale abbiamo visto prodursi l'elettricità vindice, accuratamente ponderato, ci condurrà ad ulteriori fenomeni, dove gli effetti sono del tutto i medesimi, sebbene molto differenti per grandezza. Prendiamo dunque nuovamente una lastra di vetrog elettrizzata per frizione, ed applichiamole una fogliolina metallica in modo da farle combaciare; poi tocchiamo questa fogliolina: ne assorbiremo il fuoco; esaurito il contatto, cesseranno i segni elettrici e la foglia aderirà strettamente al vetro. Ora non devi pensare che tutta l'elettricità nel vetro sia scomparsa, cioè che il fuoco eccedente sia stato da esso completamente esaurito; infatti il vetro non può, in così breve tempo, aver disperso il fuoco contenuto. Ne trattiene dunque ancora una parte, ed abbastanza notevole. Ma se è così, perchè non appare alcun segno di questo eccesso? d'onde viene che sembra ottenersi l'equilibrio? Certamente questo eccesso assoluto inerente al vetro, applicato alla foglia metallica, dissipò da questa altrettanto del fuoco nativo (e che altro potevano essere state tante scintille, che furono strappate dalla fogliolina mentre veniva toccata, dal momento che lo stesso fuoco sovrabbondante nel vetro non può assolutamente uscire così velocemente e così prontamente?). Ne deriva che, componendosi l'eccesso assoluto del vetro con il difetto assoluto della lamina, sussista ancora l'equilibrio, cioè che in questi due corpi uniti insieme si abbia una quantità di fuoco che corrisponde alla somma delle loro forze. Non si possono quindi avere segni di elettrizzazione. D'altra parte, l’esistere ed il permanere a lungo dell'eccesso assoluto nel vetro, ed invece del difetto nella lamina, evidenzia anche che questi corpi aderiscono l'un l'altro abbastanza energicamente e costantemente: abbiamo visto infatti che questa è la proprietà dei corpi diversamente elettrizzati, di attrarsi reciprocamente. E se, quando non danno segni elettrici all'esterno, così altrettanto non avessero nessuna elettricità assoluta, ma tanto il vetro che la lamina fossero dotati di quella parte di fuoco che a ciascuno compete nello stato naturale, da dove proverrebbe allora questa adesione reciproca? Ma ora stacchiamo dalla lastra di vetro questa fogliolina metallica (mediante fili di seta, perchè non perda l'elettricità posseduta): sarà difficile prevedere che cosa debba succedere? L'una e l'altra manifesterà la propria elettricità assoluta, precisamente il vetro l'eccesso e la foglia metallica il difetto: dico che si manifesteranno segni di eccesso nel vetro, perchè questo eccesso non si compone più con l'eguale difetto della lamina metallica; e così pure darà segni di difetto questa lamina, perchè ormai non si compone più con l'eccesso del vetro. Ora, dopo che, toccando questa lamina metallica separata dal vetro, vi avremo immesso il fuoco che difettava, se di nuovo la applichiamo allo stesso vetro, ancora una volta per l'eccesso dì questo, perderà altrettanto del fuoco nativo, se toccata col dito; dopo di che, ottenuto l'equilibrio, i segnali cesseranno. Di nuovo la si distacchi, di nuovo richiederà questo fuoco perduto; e così daccapo, fino a che il fuoco sovrabbondante del vetro, che non cessa di effluire, per quanto a stento e poco a poco, sarà completamente svanito; il che talvolta può ripetersi per ore, nel caso che tutto sia molto asciutto.
Orbene, se qualcuno volendo denotare questi effetti, cioè l'alterna reviviscenza di questi segni, che osservammo nell'esempio riportato, dica che la faccia del vetro, dopo il conveniente toccamento della lamina metallica ad essa aderente, subito dopo aver divelto questo rivestimento, vale a dire, quando viene denudata rivendica a sè l'elettricità che aveva prima del toccamento, io non obietterò, purchè conveniamo che questi segni elettrici rinascano non perchè, per il denudamento, l'elettricità assoluta del vetro sia, per così dire, fabbricata di nuovo, cioè che il fuoco eccessivo vi sia immesso nuovamente, ma perchè solo adesso comincia ad apparire, ossia ad emettere segni, quello stesso fuoco ridondante che prima, componendosi con l'eguale difetto della lamina metallica ad esso strettamente aderente, non si manifestava affatto: in questo senso ritengo ottimamente adoperato quel rivendicare l'elettricità.
Che a queste vicissitudini delle elettricità che abbiamo visto accadere soltanto su una faccia del vetro, si accordino pure quelle che si ottengono per le due facce di un solo vetro, o di due vetri uniti assieme quando vengono caricati sino alla scarica batavica, chiunque, anche un poco addentro all'argomento, lo potrebbe facilmente arguire; ma questo a Te, uomo di grande ingegno, verrà più chiaramente in luce, dal momento che hai stabilito quel principio sopra esaminato: la faccia del vetro denudata, dopo la scarica rivendica a sè l'elettricità che aveva prima della scarica, e soltanto a questo hai tentato di ricondurre tutti i fenomeni di questo genere. Indubbiamente lo avevi dimostrato con tanto successo e a tal punto da non desiderare nient'altro che conoscere infine la causa stessa del principio. Quindi, avendo io ormai portato alla luce questa causa, non è forse da ritenere che abbia soddisfatto al proposito senza rimettere in bilancia i peculiari esperimenti di questa questione? Tuttavia, non ritengo del tutto inutile prendere ancora in considerazione uno o un altro, perchè risulti sempre più chiaro in che modo l'applicazione dei miei principj cada perfettamente non soltanto nelle questioni generali, ma anche nei casi singoli.
Si abbia, dunque, una lastra di vetro, debitamente rivestita dall'una e dall'altra parte da una sottile laminetta metallica, o da carta dorata. Si avvicini la sua faccia superiore alla catena, in modo che assorba da essa il fuoco sovrabbondante ed invece la faccia inferiore perda il fuoco nativo, secondo quanto richiede la teoria. Ora, quando le facce del vetro, o piuttosto i loro rivestimenti, vengono toccati entrambi contemporaneamente, ha luogo la scarica, perchè il fuoco sovrabbondante nella faccia superiore irrompe nella faccia inferiore deficiente. Ma a dire il vero il fuoco si diffonde non dalla faccia superiore del vetro, ma dal rivestimento A aderente a questa faccia; ed allo stesso modo non entra veramente nella faccia inferiore del vetro, ma si raccoglie nel rivestimento B aderente a questa faccia, ed ivi si ferma. E infatti, come abbiamo visto che il fuoco sovrabbondante viene perduto a stento dal vetro, e soltanto poco per volta, per il fatto che il movimento in esso viene ritardato, così questo stesso ritardo del movimento impedisce che il fuoco che sopraggiunge si introduca tanto in fretta nella parte del vetro deficiente. Ma questa scarica avviene in un istante di tempo. E’ chiaro, dunque, che questa scarica di fuoco così repentina non proviene che dal fuoco proprio del rivestimento A che si sposta sul rivestimento B ed ivi infine si ferma. Che cosa costringa il fuoco proprio ad esser messo fuori da quello, ed a raccogliersi in questo, risulta sufficientemente chiaro, perchè abbiamo già tante volte ripetuto, che il fuoco nativo del rivestimento A deve diventare sovrabbondante per la semplice applicazione del fuoco eccedente della faccia del vetro ad esso contigua, sebbene questo fuoco eccessivo non entri veramente nel rivestimento A: e per la stessa ragione il fuoco naturale del rivestimento B deve diventare deficiente, per la semplice applicazione del difetto della faccia del vetro a sua volta contigua, cioè senza un reale passaggio di questo fuoco nativo dallo stesso B in questa faccia del vetro.
In realtà, che altro è la scarica, se non una perdita fatta dal rivestimento A di una parte del proprio fuoco, ovverosia un difetto assoluto in esso indotto in modo che si componga con l'eccesso assoluto che persiste nella faccia del vetro aderente allo stesso rivestimento A; e parimenti un acquisto di nuovo fuoco fatto dal rivestimento B, cioè un eccesso assoluto indotto nello stesso B in modo che si compensi il difetto assoluto che continua a permanere nella rispettiva faccia del vetro? Da ciò si comprende bene come dopo la scarica sussista l'equilibrio dell'una faccia del vetro con l'altra, finchè ciascuna delle due continua ad essere rivestita, precisamente continua a compensarsi col rispettivo rivestimento, e perciò cessino da entrambe le parti i segni elettrici. Pertanto ragionerebbe male chi, dal fatto che non si manifesti esteriormente alcun segno, deducesse che non esiste alcuna differenza tra il rivestimento A e la faccia del vetro rispettiva, e fra il rivestimento B e la faccia ad esso corrispondente; cioè che non vi è alcuna elettricità assoluta nè nelle facce del vetro, nè in ciascun rivestimento, ma che tutti si trovano ancora nello stato naturale. Infatti, per l'elettricità ancora presente nel vetro da entrambe le parti, l'eccesso nella faccia superiore, il difetto nella inferiore, e gli stati contrarj nei rispettivi rivestimenti, la forte adesione di questi rivestimenti al vetro stesso, ne è la prova. Che se poi, per ripeterlo ancora una volta, sia entrambe le facce, sia entrambi i rivestimenti, subito dopo la scarica, non possedessero alcuna elettricità assoluta, ma, come alcuni pretendono, si trovassero completamente allo stato naturale, credi forse che avrebbe luogo questa adesione?
Risulta, perciò, ormai chiaro: l'equilibrio appare soltanto all'esterno, e si ha in realtà per il fatto che l'elettricità assoluta di ciascuna faccia del vetro è compensata dall'elettricità assoluta contraria del rispettivo rivestimento; di conseguenza, finchè questi corpi forniti di elettricità contraria si attraggono tra loro reciprocamente, tutte le loro forze sono unicamente utilizzate per questo effetto e non manifestano nulla all'esterno. Ma anche questo equilibrio esterno si turberà denudando una delle due facce o entrambe. Se, infatti, tolgo il rivestimento A, subito la faccia del vetro denudata darà segni dell'eccesso della sua elettricità assorbita, perchè questo eccesso non si compone più con l'assoluto difetto del rivestimento A (il quale rivestimento verrà veramente trovato deficiente qualora sia stato divelto per mezzo di fili di seta). Inoltre, questo eccesso, che ormai è abbandonato a sè stesso nella faccia denudata, tende ad espellere altrettanto fuoco dall'opposta faccia del vetro ancora rivestita per indurre in essa un difetto corrispondente, secondo quanto postula la teoria frankliniana stessa; onde anche questa stessa faccia rivestita, fino a quando continua ad emettere realmente fuoco, manifesta segni di elettricità eccessiva. Perché queste cose vengano intese secondo i principj da me posti, bisogna tener presente che: questo fuoco eccessivo della faccia denudata, per mezzo dell'applicazione, cioè delle sue forze attrattive, fa sì che il fuoco nella faccia opposta ancora rivestita, il qual fuoco in precedenza (tenendo conto del rispettivo rivestimento col quale è unita insieme questa faccia del vetro) in nessun modo eccedeva né difettava, ormai sovrabbondi, e perciò voglia disperdersi. Ma talvolta mi sembra che, per spiegare tutto ciò, si possa più convenientemente far uso delle tue parole, ed anch'io volentieri ne farò uso, e converrà dire che l'elettricità eccessiva che si trova solitaria nella faccia denudata, predomina nella faccia opposta, anzi la determina in modo che si converta in elettricità assoluta contraria alla propria.
Se ora, dopo che questa faccia inferiore, con un adeguato toccamento del rivestimento, si spogliò realmente e passò in elettricità assoluta difettiva, la faccia superiore, che era stata denudata, si riveste nuovamente appena si toccheranno contemporaneamente entrambi i rivestimenti, si avrà una scarica allo stesso modo come quando prima fu tentato l'esperimento batavico. Ora, viceversa se, lasciando al suo posto il rivestimento A della faccia superiore, si stacca l'altro dalla faccia inferiore B, questa faccia inferiore del vetro, denudata, mostrerà con segni la sua elettricità difettiva, perchè questo difetto non si compensa più con l'eccesso del rivestimento B (il qual rivestimento, debitamente divelto, si scopre in effetti elettrico per eccesso); ma per la stessa ragione questo difetto della parte denudata, il quale rinuncia ad essere solitario, predominerà nella faccia opposta e la determinerà a cambiarsi in elettricità assoluta contraria, precisamente ad attrarre a sè fuoco esterno con il quale compensarsi dell'eccesso corrispondente. Ottenuto ciò, se di nuovo viene rivestita la faccia inferiore denudata, ed il vetro viene toccato da entrambe le parti, di nuovo si verificherà una scarica, come sopra. Infine, se si staccano contemporaneamente entrambi i rivestimenti, l'una e l'altra faccia paleserà l'elettricità ad essa relativa ed i rivestimenti invece l'elettricità contraria a quella della rispettiva faccia.
Da questi fenomeni si può agevolmente giungere a considerare quelle cose che accadono fra due vetri, quando vengono effettuati esperimenti con l'uno sovrapposto all'altro. Perciò non mi soffermerò molto sull'argomento, dato che tutti i fenomeni si prestano alla stessa spiegazione, se si consideri che uno di questi vetri è rivestimento dell'altro, ovvero ne fa le funzioni. Ma c'è qualcosa anche in questi esperimenti che potrebbe forse apparire singolare. Senza dubbio quando due vetri congiunti insieme, con le facce esterne rivestite, dei quali l'uno riceve elettricità da una catena, e l'altro comunica col suolo, vengono separati prima della scarica, entrambe le facce di quello che veniva elettrizzato dalla catena, manifestano un eccesso, entrambe le facce dell'altro vetro, un difetto: sembra, infatti, che il fuoco immesso nella faccia esterna del primo abbia dovuto cacciarne altrettanto dalla faccia più interna dello stesso vetro, e accumularlo nella faccia interna del secondo vetro, onde la faccia esterna di questo, comunicante col suolo, ne verrebbe spogliata, come in realtà vediamo che viene spogliata. Perciò, in seguito al distacco, il vetro superiore dovrebbe mostrare un'elettricità in eccesso solo nella faccia esterna, ed invece nell'altra, l'interna, un difetto; il vetro inferiore un'eccesso in quella faccia che fu interna, e un difetto in quella esterna. Ma sarà forse necessario ripetere, a questo punto, che il fuoco non si libera affatto così facilmente dal vetro per andare in un altro corpo? Che se ciò si deve dire di qualunque corpo, quanto più lo si deve dire in questo caso? Quale fuoco, infatti avrà potuto raccogliersi dalla faccia interna del vetro superiore nella faccia interna di quello inferiore, o in quale quantità? Aggiungi che non è neppure sollecitato violentemente a questo transito; infatti, per le forze reciproche, cioè le rispettive saturità, sarebbe in certo qual modo sufficiente se il fuoco nativo della faccia interna del vetro superiore, diventato sovrabbondante per l'aggiunta di fuoco fatta alla faccia esterna dello stesso vetro, venisse applicato alla faccia interna del vetro inferiore, acciocché dalla faccia esterna di questi esca una parte di fuoco quasi uguale a quella che si è accumulata nella parte esterna del detto vetro superiore; importa poco, appunto, purchè l'eccesso della faccia esterna del vetro superiore non risulti solitario, ma in qualche modo determini il difetto assoluto nell'altro vetro inferiore, col quale componendosi ottenga l'equilibrio. Perciò, quando questi due vetri vengono staccati, nè la faccia interna del vetro superiore darà segni di elettricità in difetto, nè quella interna del vetro inferiore, di una in eccesso, per il fatto che non saranno state in grado di eguagliare queste elettricità assolute, contrarie alle elettricità delle facce esterne, se non in nulla, certamente per poco e non pienamente; anzi la faccia interna del vetro superiore evidenzia anch'essa segni di eccesso, perchè in questa faccia prevale l'eccesso della faccia esterna dello stesso vetro, e la spinge a procacciarsi ancor più l'elettricità assoluta contraria; allo stesso modo la faccia interna del vetro inferiore evidenzia anch'essa segni di difetto, perchè in questa faccia prevale il difetto assoluto della faccia esterna (che ha disperso a terra il suo fuoco nativo) e la spinge a procacciarsi un eccesso del tutto corrispondente.
Del resto, anche per una molteplicità di casi, quando, per esempio, prima o dopo la scarica questi due vetri vengono separati; quando soltanto l'uno o l'altro viene toccato, sulla faccia rivestita o sulla faccia snudata; quando entrambi vengono toccati; o quando nessuno dei due; quando il toccamento non è completo, e in altri infiniti casi, è facile prevedere che cosa debba accadere, e preannunciare con sicurezza gli eventi per ciascuno di questi casi, se si comprendono rettamente quelle cose stabilite sopra. Come anche quelle cose che in seguito all'inversione di entrambi i vetri, o soltanto del vetro predominante, sono apparse del tutto mirabili, precisamente che le elettricità diventino contrarie, si chiarirà ulteriormente; anzi svanirà del tutto il loro carattere meraviglioso, se si pone mente al fatto, a cui ho già accennato, che quando si uniscono due vetri, l'uno viene ad essere un certo qual rivestimento dell'altro.
Ho esposto tutte queste cose nell'ordine in cui io stesso le deducevo l'una dall'altra, e non dubito che ormai sia chiaro come esse siano riunite tra loro da uno stretto vincolo. Ma perchè risulti di nuovo chiaramente che tutti questi fenomeni scaturiscano spontaneamente da uno e medesimo principio, non sarà inutile riesaminare in ordine inverso, ma più succintamente, quelle cose che concernono il modo in cui l'elettricità si comunica a corpi qualsiasi, e, per così dire, unificare ciò che è già stato detto.
Pertanto, quando un corpo deferente B tocca la catena, il fuoco sovrabbondante da questa entra in quello, a misura della sua capacità; quindi anch'esso giunge ad avere elettricità in eccesso, se non comunicherà col suolo; se comunica, non ne ha. Ma se lo stesso corpo B tocca la faccia di un vetro similmente elettrizzata per eccesso o qualunque altro corpo di quelli che chiamiamo coercenti, il fuoco sovrabbondante di questo corpo elettrico, per il fatto che in esso il movimento è ostacolato, non entra davvero in gran parte nel corpo B, sebbene vi tenda con grande sforzo; tuttavia non di meno, essendo sufficientemente vicino al corpo B, e in qualche modo vi sia applicato, la forza attrattiva mutua non può non esercitare la sua azione. Ma quanto più la forza delle particelle costituenti il corpo B viene impiegata ad attrarre questo nuovo fuoco, tanto più debole deve riuscire nel trattenere il fuoco nativo. Succede quindi che una parte di questo fuoco nativo, ora eccedente rispetto alla debita saturità, viene espulsa completamente, ossia, per parlare in modo più preciso, tende verso i corpi non sovrabbondanti, dove la forza attrattiva è più forte. E certamente, ora qui ora là, i reciproci accostamenti, le adesioni, ecc., evidenziano abbastanza questa tendenza. Poichè, dunque, il corpo B, o comunicante col suolo o in qualche modo toccato, perde il proprio fuoco, giustamente abbiamo detto che esso andava in elettricità assoluta difettiva, contraria all'elettricità assoluta del corpo coercente a cui aderisce: la quale elettricità difettiva il corpo B manifesta realmente con tutti i segni, non appena esso viene staccato dal corpo coercente; invece lo stesso corpo coercente, come è giusto, presenta ancora il suo eccesso. E a ciò si riconducono tutte quelle cose che abbiamo visto accadere alle facce del vetro ed ai loro rivestimenti. Inoltre, se per il solo fatto che venga impedito il transito del fuoco dal corpo coercente al corpo B, senza che venga ostacolata l'azione delle forze reciproche, accade che questo medesimo corpo B perda fuoco proprio e diventi di elettricità assoluta difettiva, la stessa cosa avverrà qualunque sia ciò che ritarderà questo passaggio, senza sottrarsi alla forza di attrazione reciproca: precisamente se il corpo B venga avvicinato a un corpo elettrizzato ed anche conduttore, purché non lo tocchi, ma si frapponga un certo qual strato d’aria idoneo ad isolare il fuoco; ma neppure ci sia quella distanza oltre la quale non sia lecito estendere la reciproca tendenza di questo fuoco con le particelle del corpo B. Orbene succede senz'altro: infatti, il corpo B avvicinato al corpo A elettrizzato in eccesso, senza stargli tanto vicino da permettergli il passaggio del fuoco, è costretto a passare in elettricità difettiva contraria a quello, la quale si manifesta quando il primo venga rimosso; e certamente, dal più al meno, rimanendo costanti le altre condizioni, le forze reciproche hanno potuto agire. E a ciò nuovamente si riconducono tutte le cose da Te riferite sull'atmosfera elettrica.
Infine, se queste cose sono vere, lo stesso sarà certamente se il passaggio del fuoco dall'uno all'altro corpo conduttore non venga ostacolato dall'aria interposta, ma proprio l'esiguo spessore di uno e medesimo corpo coercente sia d'impedimento al fuoco accumulato su una faccia di trasferirsi sull'altra: precisamente la faccia che è sovrabbondante costringe l'altra a passare in elettricità assoluta contraria alla propria, e ciò tanto più facilmente, quanto minore lo spessore del corpo coercente, in modo che le forze reciproche delle due facce possano agire più intensamente. E che le cose stiano così, anzitutto nel vetro, poi anche in tutti i corpi che fanno parte del genere dei coercenti, è noto già da molto tempo.
Ormai non ci sarebbe più nulla da aggiungere, se non far fronte ad alcune difficoltà, che già quasi prevedo potrebbero essere obiettate alla teoria fin qui esposta, principalmente per ciò che concerne l'elettricità vindice. Ma non sarà forse meglio non metter piede in questo campo, finchè non avrò sentito quali e di che genere siano le cose che mi vengano obiettate da uomini esperti in queste cose, e forse anche da Te, personaggio di gran merito in elettrologia, da me apprezzato più di tutti? A ciò, per non dilungarmi più del necessario, sono costretto a dare l'ultima mano a questa lettera, a quanto vedo, abbastanza prolissa. E temo anche di avere ammassato qui troppe cose, mentre a Te in ogni caso ne servivano di meno per aver presente i miei principj ben poco difformi dai tuoi e per dedurre più feconde conseguenze da Te stesso. Questa almeno era la mia intenzione; perciò all'inizio mi ero ripromesso solo di fare accenno ai principj generali; poi per compiacere ad alcuni altri che sollecitavano questa mia teoria, e non conoscevano a fondo queste recenti scoperte sull'elettricità vindice, e i principj stabiliti soprattutto da Te, ho ritenuto opportuno di spiegare un po' più diffusamente questa stessa teoria, visto che ormai ero entrato in argomento. Sarò lieto se non avrò fatto cosa sgradita a Te e a quelli! Stammi bene.
Spedita da Nuova Como 18 aprile 1769. 

*Originale in latino; traduzione di A. Chierico

a“Vedrei con molto piacere il vostro nuovo sistema sulle cause dell'elettricità, quando lo farete apparire; sarei sorpreso se voi deduceste dall'attrazione newtoniana le spiegazioni fisiche di fenomeni di questo genere; mi sembra che lasciando sussistere le leggi attribuite a questa specie di virtù, è ben difficile render ragione dei fatti principali; nessuno finora ha osato tentarlo; sarà glorioso per voi averlo tentato con successo ”. [originale in francese]

bMolti ne ha raccolti Musschenbroek, Essai de Physique. Vedi anche Nouveau Cours de Chymie selon les principes de Newton, et de Sthal.

cTheoria Philosophiae Naturalis ad unicam legem redacta virium in Natura existentium.

dRitengo che l'avvicinamento del ferro e del magnete dipenda dal principio dell'attrazione, per quanto i più sostengano invece che avvenga per impulso di effluvj magnetici.

eQuesti furono gli argomenti che dapprima mi si presentarono a favore della forza attrattiva del fuoco elettrico, e che mi conducevano alla teoria dei vetri, della quale, nel 1763, presentai un saggio a Nollet. Ma la teoria era allora male approfondita: infatti, non adducevo quasi nient'altro, tranne l'esempio del magnete, sul quale insistevo in modo particolare.

fSiccome è bene osservare attentamente quanto consegue col pozzo disposto aperto, io preparo l'esperimento in modo analogo, come facevi Tu, in un tubo di carta dorata ben spessa, della quale carta così arrotolata tiro i lembi con fili di seta, e la distendo in superficie piana.

gQuesti effetti si ottengono anche benissimo con una calza di seta, ecc.